di FRANCO CIMINO
Civitanove Marche, città della civilissima regione delle Marche, oggi, in piena mattinata di cielo chiaro e di sole caldo. L’aria, senza vento, respirava del suo stesso respiro. La gente, tanta, godeva dell’estate in centro in attesa di andare al mare. Le vetrine dei negozi annunciavano grandi affari con gli sconti anticipati di parecchio. Ché di soldi non ne girano affatto, se non dentro i supermercati, dove chi può esorcizza la sua imminente povertà riempiendo di cibo i carrelli della spesa. Sulla strada principale un omone alto e robusto, forse soltanto incomprensibilmente grasso, vende accendini e qualunque cianfrusaglia che gli capiti tra le mani. Lo fa tutti i giorni, allo stesso posto. Specialmente da quando, un anno fa, un investimento automobilistico non l’ha reso quasi invalido totale. Infatti, si regge in piedi, e con difficoltà cammina, con l’aiuto di una stampella. Non è dato sapere se da quell’incidente abbia ricavato qualche soldo, magari ripetibile con i certificati medici “ esagerati”, come facciamo noi italiani lucrando sulle assicurazioni. Fatto è che né il grosso guaio, né la più generosa assicurazione, se mai gli fosse stata riconosciuta la ragione, avrebbero potuto farlo “ ricco”. Da quella strada sul Corso principale, non si è mai mosso. Ha una moglie e un bambino di otto anni a casa. E devono pur mangiare, ché per vestirsi si arrangiano con quel che le famiglie italiane lasciano in giro per le parrocchie e le associazioni del volontariato. Tutti lo conoscono. E per nome lo chiamano. Alika si chiama. È un migrante regolare. Viene dalla Nigeria. E mai ha fatto parlare negativamente di sé. Dicono tutti che fosse un uomo buono, persona educata. Per nulla violenta. Neppure aggressiva. Generosa, se mai. E gentile. Un buon padre di famiglia che in tasca magari ha il sogno che qui, nel nostro Paese, il figlio diventi un giorno un “italiano” affermato. Un medico o un ingegnere o avvocato. E, perché no? Un deputato della nostra Repubblica. E, magari, il giovane valente sindaco proprio di Civitanove. Vuoi mettere che alla gioia di padre non si potesse aggiungere l’orgoglio di quel nigeriano che rimanda al paese natio, tradito e traditore, l’immagine di quel figlio che ce l’avrebbe fatta. Ché, ius soli o altro, nativo o acculturato italiano, occidentalizzato e cristianizzato magari, sempre nigeriano resta. Il colore della pelle e i caratteri somatici, mica si cambiano con la lingua parlata correttamente. E con l’inflessione e pure il dialetto marchigiani. Oggi, in piena mattina di un giorno che sarebbe stato uguale a tutti i precedenti, Alika con il carico del suo peso e dei suoi trentanove anni, incontra, per quell’appuntamento con il tragico destino cui si arriva sempre puntuali, Claudio, un giovane italiano carico invece di un fisico ben costruito e dei suoi trentadue anni, e della compagnia della sua ragazza, che non aveva da restare a casa ad accudire bambini e faccende domestiche. C’era tanta gente sulla via e tutti diranno, con sincerità alcuni, insincera solidarietà patriottica altri, e con il silenzio ipocrita e menzognero di altri ancora, cosa abbia scatenato l’ira accecante di Claudio che si è scagliato con inaudita ferocia contro Alika, colpendolo a pugni e a colpi del bastone del nigeriano, fino a ucciderlo. La scena “ di guerra” all’arma quasi bianca, durata non pochi minuti, è stata dettagliatamente ripresa da alcuni telefonini. Milioni di persone l’anno vista, sia pure per brevi frammenti. Anche quella sagoma voluminosa, che compariva da quel doloroso lenzuolo bianco, a indicare la fine di tutto, abbiamo visto. Una sorte di macabro trofeo di guerra, lasciato, perché tutti capissero, dal guerriero vincitore. Adesso, però, non di dica, della provocazione subita dall’aggressore( e già la sua scusante dinanzi al magistrato), non si dica, come diranno gli avvocati difensori, che è stato un colpo del sole sfiancante, o di rabbia incontrollata. Non si pronunci la parola raptus e non si giochi con l’onore dell’uomo caldo che avrebbe difeso la propria donna da un non so che di aggressivo il nigeriano le avrebbe lanciato. Su quel tratto di civiltà negata nell’asfalto infuocato, si è consumato un delitto, dal pregiudizio e dell’ignoranza, quasi premeditato e programmato. Un vero assassinio a più mani. Quelle due che l’hanno colpito e quelle cento che non si sono attivate per sottrarre il poverocristo dalla stretta omicidiaria di quel demonio. Un vero assassinio, che ha avuto più complici, parimenti colpevoli di quella ferocia. Sono, l’indifferenza della gente che è rimasta a guardare, cinicamente riprendendo la scena da postare piacevolmente sui social o da mostrare eroicamente ai propri bambini, e l’alto grato di inciviltà raggiunto dal nostro Paese, ormai(la violenza dilagante anche tra gli adolescenti lo dimostra)segnato dalla progressiva perdita del senso umano e dell’umano, che quasi antropologicamente è stato il carattere distintivo degli italiani. Claudio, senza che ciò gli sia attenuante, ché invece è un’aggravante, si è comportato da italiano rappresentante di questa degradante cultura, che ancora minoritaria, rischia di allargarsi enormemente. Per questo, le mie ultime parole di questo articolo le rivolgo direttamente a lui, il giovane che non ha perso il lume dell’intelletto, ma l’intelletto intero, se l’avesse avuto. Gliele rivolgo da padre e da professore, disturbato dal non sentire al momento alcuna compassione per lui, ma solo dolore, anche me colpevole, per quel padre che stasera non tornerà a casa e quella moglie e quel figlio che hanno perso ogni minima sicurezza esistenziale, e che domani, dopo la commozione sceneggiata di migliaia di persone dal pianto facile e dalla tasca stretta, resteranno soli senza neppure i soldi per il biglietto di ritorno nella miseria della loro terra. Ecco Claudio, dico a te, per dirlo a tutti quelli che ti somigliano:” ma cosa avresti voluto dimostrare, oggi, che la razza bianca primeggia su quella nera, per diritto di superiorità statuito da qualche parte della tua e nostra ignoranza? Che sei stato più forte di un invalido? Che sei stato capace di mostrarti eroico davanti alla tua donna? O cos’altro, magari che sei italiano di quelli che gliela fanno vedere a quelli là? Questo hai voluto dimostrare? E adesso ti è servito averlo dimostrato? Ti sei dimenticato che l’Italia è ancora un grande Paese, che ha una Costituzione bella e leggi buone, che proteggono la vita( la Costituzione) e severamente puniscono( le leggi) coloro che la violino, la offendono, la feriscono, la sopprimano? Non lo sapevi questo?” C’è, però, una speranza che sale da quel sangue sull’asfalto. Ed è che questa tua violenza e questa morte assurda possano servire a tutti noi. Per rinsavire. E rieducarci ai valori fondamentali della solidarietà, della giustizia, dell’eguaglianza senza condizioni e della parità assoluta. Del valore della Libertà nella Democrazia che la custodisce. Della Pace. E dell’amore fra tutti gli esseri umani, che tutti questi valori assicura.
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