Franco Cimino: "Le parole bugiarde della guerra e le mille domande 'nascoste'"

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Franco Cimino
  02 dicembre 2024 14:34

di FRANCO CIMINO

Le parole hanno un significato. Almeno nel dizionario. Nei fuochi d’odio accesi in più regioni del pianeta, le parole, però, quel significato l’hanno perso. Gli stessi attori in armi, lo hanno stravolto. L’opinione pubblica mondiale lo riceve indifferente e gli osservatori, come i governanti, del cosiddetto mondo occidentale, sulle parole ci giocano tra ipocrisia e ignoranza. Prendiamone due tra quelle più pronunciate in questi ultimi anni. Guerra e tregua. La prima. Il dizionario dice essere “ un conflitto armato tra due o più comunità territoriali strutturate.” Cioè Paesi, Stati, Nazioni. Le “guerre” in atto, specialmente nelle regioni del Medio Oriente e intorno ad esso, e nell’Europa Orientale, sono anomale. Strane. Complicate.

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Tutti facciamo finta di non capirlo. Su quel campo c’è chi nega essere guerra il proprio attacco armato a paesi autonomi e indipendenti, ovvero quello a comunità senza Stato ed eserciti strutturati e adeguatamente armati. Domande. Che guerra era quella mossa dalla Russia, grande potenza mondiale, ricca e super armata, nei confronti dell’Ucraina, paese piccolo, indipendente, sovrano, materialmente autosufficiente, con lo scopo di annettersi la parte più strategica di quel territorio? Questa la domanda. E, però, affinché quell’aggressione potesse prendere i caratteri di guerra tradizionale, invece che impegnarsi davvero per evitare una sua escalation, imponendo, con atti più efficaci, la Pace, i paesi della Nato hanno armato il paese aggredito in modo che potesse “ affrontare” quella guerra. Non ritorno sugli iniziali “perché e perché e perché”, avendo più volte e chiaramente espresso in quelle date il mio pensiero. Dico oggi di questa anomalia, che porterà presto a una soluzione assurda. Dopo tre anni di durissimi scontri, decine di migliaia di morti, un intero paese completamente distrutto, anche nella nuda terra, quella del grano e del mais, il rapimento di migliaia di bambini, oltre cinquecento miliardi spesi dai paesi solidali con l’Ucraina e poco meno di questi quelli bruciati dalla Russia, si sta negoziando per consentire a due paesi, ora deboli, sfiniti e perdenti, di vincere il nulla sulle morti e le rovine. La partita finirebbe in “ parità”. Ognuno si prenda ciò che ha preso o conservato, si tenga la distruzione e resti sul piano delle relazioni internazionali con le volontà precedenti, senza che il più debole possa praticarle. E la ricostruzione dell’Ucraina totalmente distrutta? Ci vorranno almeno altri cinquecento miliardi di euro. Domanda: i Paesi, che l’hanno sostenuta in guerra spendendo i propri soldi, potranno lasciarla al buio e alla fame, anche con il rischio molto concreto che la Russia tra meno di un anno possa farne un solo boccone? Evidentemente no. Quindi? Quindi, dovranno obbligatoriamente mettere mano al portafogli e pagare in solido tanti soldi, con la misera gratificazione di prendere, (nel conflitto economico sotterraneo tra gli stessi paesi), per le proprie imprese la maggiore parte degli appalti per la ricostruzione. Si consideri che il nuovo presidente degli USA confermerà la sua posizione di non impiegare più un dollaro dei suoi cittadini in Europa. In particolare, in Ucraina, che continui la difesa dal permanere del conflitto o no. Ma che guerra, è? In Medio Oriente, dei pazzi e stupidi “ guerriglieri” di Hamas, strategicamente intenzionati a fare ciò che il loro nemico capitale attendeva, compiono, in quel tragico sette ottobre, un atto tanto orrendo da non potersi concepirà neppure come il più brutale terrorismo. Il governo di Israele, che una provocazione attendeva( inspiegabile è ancora la mancata protezione e difesa di quella sua comunità), reagisce in modo che più feroce non si possa. A forze impari, ad armamenti non equilibrati, “vendica” i suoi trecento morti e gli altrettanti suoi cittadini sequestrati, sferrando un attacco senza precedenti nei confronti di Hamas. Massacra, infatti, circa cinquantamila palestinesi, più dei due terzi sono civili inermi, tra cui vecchi, donne e bambini. Migliaia di bambini. Rade al suolo l’intera Striscia di Gaza, non una casa o una scuola o un ospedale sono rimasti in piedi. Inoltre, crea ,come per magia, un altro esodo di tale proporzioni da essere annoverato tra i più grandi della storia. Oltre un milione di profughi, costretti in campi della più pesante miseria e disperazione, dove a centinaia al giorno si muore di fame, di stenti. Ovvero, di malattie le più innocue se curate da semplici medicinali, che la Croce Rossa internazionale e le altre organizzazioni umanitarie, non riescono a recapitare unitamente ai generi alimentari più necessari. Anche in questo conflitto sono stati inceneriti centinaia di miliardi, gli stessi che serviranno per la ricostruzione materiale di quei luoghi, compreso il Libano, la terra bella sul mare, a cui l’esercito di Israele non ha risparmiato qualche raid distruttivo per completare l’assalto ad Hezbollah. Ma che guerra è quella tra un Golia ancora più forte e un Davide ancora più piccolo? Che guerra è quella in cui nello scontro tra due odi antichi, prevale chi ha la forza di annientare il nemico, con l’intento ormai per nulla segreto di cancellarlo definitivamente dalla faccia della “ sua” terra? E quale giustificazione potrebbe essere introdotta in questa anomala guerra, seppure quella più “ ascoltabile” fosse difendersi dall’eguale volontà e desiderio del proprio nemico nei confronti di Israele? Queste le altre domande. E, ancora. L’altra parola del violato significato è “ tregua”. Il dizionario dice:” sospensione temporanea delle ostilità”. Dopo un anno e quaranta giorni di fuochi, distruzioni, morti, miserie di ogni genere, una tregua? E che tregua è quella in cui ancora si spara nel Libano dell’accordo, mentre si continua a bombare la Gaza ormai neppure fantasma di sé stessa? Sembra un giochino per bambini, sotto la didascalia ridicola:” un po’ di qua sorridiamo, un po’ più il là bombardiamo. Un po’ più in là giochiamo a far la Pace, un po’ più in là a far la guerra.” Ma che tregua è quella in cui la sospensione del conflitto non serve a preparare la Pace, ma un’altra guerra? Che tregua è quella in cui si spara un “pochino”tanto per non perdere l’abitudine o a mostrare i denti, perché il nemico non dimentichi la ferocia della mia faccia? Che tregua è quella che serve a riposare i soldati invece che restituirli, vivi e sani, alle proprie case? Che tregua è quella in cui ci si prepara a riorganizzarsi, a ricostituire l’arsenale bellico in parte o totalmente perduto? Che tregua è quella in cui il tempo che la coprirà servirà a fomentare, in particolare tra i giovani, l’odio contro il nemico? Intanto, il mondo registra una strana coincidenza. Firmata la tregua, questa piccola piccola, riprende la cosiddetta guerra civile in Siria, il paese dimenticato dal loro Dio e dall’umanità, ma tenuto in considerazione solo da quei paesi che continuano a dividere il mondo, e quella in particolare, in zone di influenze. In questi anni, nella cecità furba di tutti noi, quella terra ha subito ogni forma di violenza. Soprattutto, dal regime autoritario di Assad, rampollo di una famiglia che ha dispoticamente posseduto per più di cinquant’anni questo paese dell’antica e nobile civiltà. I cosiddetti ribelli, costituito da un fronte in cui non ci sarebbero più soltanto i sunniti, hanno preso Aleppo, la città negata al loro Dio e alla pietà umana, per le decine di migliaia di morti causati in questi lunghi anni di bombardamenti provenienti da ogni parte.

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I bambini sono stati le vittime preferite. Ne sono morti in numero incalcolabile. Di più sono quelli che, orfani, laceri e affamati, si muovono tra le macerie in cerca di cibo o di acqua nelle pozzanghere. Tanti sono quelli che mentre scriviamo stanno morendo di fame e di freddo. Sono i bambini non visti, negati. Respinti. Dalla stessa pietà nostra, di cittadini del mondo “ civile”. Questa situazione, che solo oggi rimbalza nelle nostre case per solleticare la curiosità del sistema d’informazione che ha perso lo spazio delle guerre oggi sospese, è destinata ad aggravarsi per l’intenzione dei due fronti di renderla conclusiva. L’Iran è prona ad appoggiare Damasco e il suo capo autoritario. La Russia farà altrettanto, e di più. E per mantenere la sua egemonia in quell’aria, e per distrarre il suo popolo dalla scelleratezza della sua guerra all’Ucraina. E cosa farà Israele, che con la scusa di distruggere le postazioni di hezbollah ha bombardato per anni quel paese? Quanti morti ancora? Quanti bambini e donne ancora? Quanti sfollati da quel posto in cerca di pane e di una tenda? E quando lo si capirà che nel terzo millennio le guerre non le vince nessuno e le perdono tutti? Come non pensare che le spese delle stesse e quelle preventive per gli armamenti, se venissero impiegate in grande parte all’interno dei singoli paesi, una parte per l’Europa e anche la piccola restante per i paesi più poveri del mondo, in pochi anni, anche i tre di quest’ultima guerra, si debellerebbe la povertà interna ed esterna e si potrebbe riprendere per tutti la felice fase dello sviluppo e del Progresso, da sempre interrotta dagli egoismi degli Stati e dai conflitti estesi? Se avessimo risparmiato questi ultimi mille miliardi, quanti ospedali e scuole e case e strade e fabbriche e macchine per l’agricoltura e condotte per portare l’acqua dove manca, avremmo potuto costruire nelle regioni povere del pianeta, comprese quelle dei paesi occidentali impoveriti pesantemente dalla crisi economica di questo sistema globale falsamente liberale?

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Poniamoci, e finalmente, queste domande e diamoci quelle risposte che, indifferenti al senso umano della nostra esistenza, ci facciamo tenere nascoste. E non si abbia paura di sentirsi dire” ma pensa ai fatti nostri, ai nostri problemi” oppure “ che ti metti a fare il Papa?”Ché a forza di farci i fatti nostri e a guardare da un’altra parte, non ci siamo accorti che tutto ciò che abbiamo distrattamente visto in televisione e sui giornali, sta arrivando da noi. Povertà e guerre. Egoismi e rancori. E quella sfrenata voglia di trovarci un nemico debole contro cui scagliarci. No, basta pensare ai fatti nostri. Quei bambini sono anche nostri. Quei morti di fame ci somigliano tutti. Fare il Papa? Proprio no. Ce n’è uno. Bello e buono. Basta solo ascoltarlo.

 

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