di FRANCO CIMINO
“Senti gua’, guà, senta ca tu dicu bonu…” I ragazzi della mia generazione, e quelli di una più sotto o una più sopra, ricorderanno bene questa classica espressione dialettale con la quale si intendeva preparare un’affermazione assai forte. Letteralmente si traduceva in:” Ascoltami bene”(gua’-guardami negli occhi-guà, con l’accento significa, guagliò- ragazzo). Quasi sempre preparava un’espressione del tipo:” Ma che me ne importa di quel che dici!” Ovvero:” Io, invece, la penso in tutt’altro modo, questo…” Richiamo alla mia mente quel dire antico, a la catanzarisa per intenderci, per mostrare il mio stupore per la polemica assurda innestatasi intorno a quella scelta del presidente della Corte d’Appello che gli stessi protagonisti, oltre che la logica e le normative sull’emergenza sanitaria, affermano come necessaria e indiscutibile.
La scelta, cioè, per il secondo anno consecutivo, di celebrare, causa restrizioni da Covid, l’apertura dell’Anno Giudiziario nella piana più lontana e solitaria (colpevolmente per quanti l’hanno resa lontana e solitaria) detta Fondazione Terina o con la sua vecchia denominazione ex Sir. Più precisamente nella cosiddetta aula bunker dove si sta celebrando, dopo i costi considerevoli per adattarla, quel famoso processo dei duecento, che i più accessi fautori di un vecchio campanilismo avrebbero voluto si celebrasse, indifferenti alle accertate impraticabilità logistiche, a Catanzaro.
È evidente che questa polemica potrebbe trascinare la “Politica che non c’è” dentro una campagna che già si annuncia un po’ troppo vivace e personalizzata, per dirla alla buona. E anche gli stessi autori, loro malgrado, dentro un campanilismo vecchio e dannoso e per giunta pure originale per il fatto che si muova tutto all’interno dello stesso campanile, senza un altro che lo sfidi. La gara che sembrerebbe annunciarsi( si immagini quando il quadro delle candidature sarà completato!) riguarderebbe il grado di passione riguardo alla catanzaresità, dove chi la dice più forte arriverà primo. In qualche modo come per le candidature, dove la gara sembrerebbe essere quella sulla tempistica, chi si candida per primo vince. E così, volente o no, sulla più importante elezione di questi ultimi quindici anni, ovvero una delle più importanti della storia della nostra Città, si riporta la più brutta delle nostre posizioni, tra l’altro mai giunte a farsi battaglia: Catanzaro contro Lamezia, con noi che stranamente ci impossessiamo della vecchia lamentazione che proprio i lametini( non tutti in verità)lanciavano nei confronti di una Catanzaro piglia tutto. Da un po’ di tempo siamo noi, invece, a protestare contro gli scippi perpetrati da altri ai nostri danni. In particolare, contro la presunta sete di dominio della Città della Piana.
Ovvero, nei confronti di un immaginario complotto internazionale che vorrebbe, ancora non riuscendovi, ammazzare Catanzaro, magari per rubarle il titolo di capoluogo. Errore grave quello finora consumato. Errore gravissimo volerlo ripetere. È evidente, anche qui, che tale posizione nasce dalla debolezza incompresa, e perciò aggravata negli anni, della nostra Città. Essa nasce dalla famosa tripartizione della vecchia estesa provincia, da cui sono gemellate quelle di Crotone e Vibo Valentia. Si badi, affinché si faccia definitivamente chiarezza e si abbandoni un furbesco vittimismo, che questa debolezza non deriva dall’atto, discutibile o meno, che ci ha ridotto a piccole dimensioni, territoriali e istituzionali.
Deriva, invece, dalla incapacità di ripensare a un nuovo modello di realtà urbana dopo l’inevitabile esaurirsi di quello, terziario burocratizzato, su cui dal dopoguerra è venuta crescendo un’economia di fatto, e alla lunga, fragile e improduttiva. In questo vuoto progettuale e nella sotterranea “ lite”, ma di più nella evidente incomunicabilità, tra il capoluogo “ difficile” e la città che non conosce il suo valore nella pianura più importante della Calabria, sono nate due debolezze. Due debolezze pesanti che hanno allargato il vuoto, dapprima territoriale ed economico oggi anche politico, nell’area centrale della Calabria. Un vuoto che, se il nuovo governo nazionale e regionale nonché il nuovo programma europeo non si impegneranno a colmare con urgenza, trascinerà la Calabria nel baratro, costringendola ancora una volta a bruciare nella insipienza, nello spreco e nel malaffare, centinaia di miliardi e tante preziose risorse ambientali. Questo errore di Lamezia contro e di Catanzaro “pro domo sua”, è decisamente il frutto cattivo di una mancata visione della nuova Catanzaro.
Una Catanzaro, che, lo ripeto da quindici anni e più, deve rifondarsi lungo il bellissimo territorio della sua storia più antica. Quello che va da Borgia-Squillace fino a Taverna, dal mare della Magna Graecia ai monti della Sila, il suo mare e i suo monti. Una Città che da qui si apra al resto del mondo. In particolare, a Lamezia Terme con cui potrà realizzare la più importante delle alleanze, attraverso l’utilizzo armonico proprio delle due aree( la “nostra” Germaneto e la “ loro” ancora meglio nota come ex Sir) che più delle altre hanno subito miopia politica e scarso senso della modernità in danno anche di una nuova idea di Mezzogiorno che ci veda insieme davvero protagonisti del mondo nuovo. Razionalizzare, ed anche economicamente bonificare, le due realtà, poste in modo articolato all’interno di un grande progetto unitario di sviluppo che valorizzi le tante peculiarità dei territori, farà più grandi e più forti tutti.è miracolosamente da due debolezze, una forza nuova. La povertà, strutturale e non, sarà debellata, e lo sviluppo sarà davvero occasione di crescita in ricchezza comune e in civiltà. E Catanzaro diventerà non solo il capoluogo di regione, ma la vera guida politica, economica e culturale dell’intera Calabria, che tale la riconoscerà, sostenendola adeguatamente, consapevoli tutti i calabresi che una regione non sarà mai forte e sicura se il suo capoluogo non sarà sicuro e forte.
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