di FRANCO CIMINO
Manca l’acqua, ancora una volta manca l’acqua. Dopo la lunga settimana in cui ci è stato detto di non consumarla perché “ inquinata” e sporca, i rubinetti piangono e ridono. Piangono, perché anche loro, come le vene per il sangue, hanno bisogno del prezioso liquido per non atrofizzarsi. Ridono, di noi ridono, per il vederci piegati, da potenti che ci riteniamo, presuntuosi come siamo, dinanzi a una necessità che abbiamo sempre snobbato, sfruttato, maltrattato. Ridono di noi che, secondo la vecchia abitudine del “ piove governo ladro”, malediciamo il sindaco, venerato il giorno prima all’annuncio delle gioiose feste di Natale, come in estate dei concerti e dei balli, fino al mattino. Ché a noi piace stare in leggerezza sul fuoco che brucia. “ Averanu ma mi tagghianu i mani, s’u votu n’atra vota!”
È talmente corale questo ritornello, “ ca mi para ca u sentu puru e luntanu”. E, però, l’acqua non c’è. Come l’altra volta ci lamentiamo di non essere stati informati adeguatamente. Ma l’acqua manca. In molta parte della Città capoluogo, la Città più bella. E noi, che avremo declinato in ogni lingua tutte le maledizioni e recitato tutte le bestemmie a calendario, “cu cui t’a pigghi” se la colpa è sempre di quelli di prima. O di quelli che stanno un po’ più in là da noi. Il pluralismo delle istituzioni, altrove valore importante della Democrazia, qui diventa il campo articolato della “deresponsabilità”. Un esempio pratico? Proprio l’acqua, quando manca. Quelli di oggi e quelli di ieri, chiamati in causa rispondono all’unisono:“ la colpa è della Sorical”, che non ha rinnovato le condotte vetuste. Lo è anche perché non aumenta il flusso e la quantità d’acqua nei serbatoi. La Sorical, replica, “mancano i soldi per farlo. E mancano per due motivi, i debiti non pagati per anni dal Comune, la Regione non delibera sulle risorse necessarie per costruire nuovi impianti. La Regione, dà la colpa ai governi di un altro colore, questi, alternativamente, all’Europa che non investe adeguatamente su questo bisogno. E, così di seguito, fino a incolpare l’Africa perché si è bevuta pure l’acqua nostra, da qui la siccità e l’aridità delle sue terre. Detto questo, stiamocene zitti, ché tanta colpa ce l’abbiamo pure noi, cittadini, anche se la politica, che ci cerca i voti, non ci accusa di nulla. Neppure degli atti più visibili. Non tutti paghiamo i canoni per il consumo e tanti non in misura adeguata allo stesso. Inoltre, la gran parte di noi fa un pessimo uso di questa risorsa, sprecandola nella forma più rozza e incivile.
“Stamuni queti, allora, e aspettamu cu pacenza, ca si non è mo’, chiu tardu arriva.” E, però, non possiamo restare zitti se non avremo beneficiato moralmente di questo grave disagio odierno. I ragazzi che non vanno a scuola oggi, le mamme che non possono pulire la casa, i ristoratori che avranno difficoltà a servire i clienti, e noi tutti che non ci possiamo lavare tranquillamente sotto quelle docce abbondanti o fare la barba lasciando scorrere lungamente il fiume dal rubinetto, pensiamo,almeno per una volta, a coloro i quali l’acqua non ce l’hanno affatto da sempre. Per la povertà, da un tempo lungo o ancora breve, per i disastri naturali e ambientali e per le guerre in atto. Pensiamo a quei bambini, che se la vanno a cercare nelle pozzanghere e negli acquitrini. Ai malati, che si aggraveranno, agli anziani che ne moriranno, alle donne che si disperano. La mancanza d’acqua, e la sete mortale come conseguenza, la pulizia del corpo come danno, l’interruzione totale o parziale delle attività dove esistono, le mani e il viso e i piedi sempre sporchi nei bambini, che imparano a camminare o giocano tra le rovine, questo è l’atto d’accusa più pesante per tutti noi, che ci lamentiamo che manca l’acqua per poche ore o un giorno.
Un atto d’accusa non meno pesante di quello per le guerre, di cui anche noi siamo responsabili. Ché l’indifferenza al dolore altrui, è la malattia morale di questa società dell’opulenza bugiarda. Quella che sotto i colpi delle nuove povertà, che ci stanno colpendo alle spalle come un pugnale, dimostra la fragilità di un benessere fondato sul principio legalizzato dell’ingiustizia e della divisione, dell’egoismo e del rancore. Questa malattia morale ci sta portando alla cecità. A forza di chiudere gli occhi sul dolore del mondo, stiamo perdendo gli occhi. A forza di non vedere chi muore di fame e di sete, abbiamo perso il gusto del pane e il piacere dell’acqua. Stiamo diventando poveri di fatto, già essendolo di cuore. Ora che ci manca l’acqua, ne sentiamo l’estrema importanza. Ma ancora solo per il nostro benessere, le nostre quotidiane comodità.
È solo quando ne sentiremo l’importanza assoluta come valore umano, come principio di dignità, come diritto inalienabile, come essenza di vita anche biologicamente intesa, solo quando davvero la sentiremo come la libertà, della persona e dei popoli, da riconoscere in tutti, persone, gente, popoli, nazioni, terre e territori, potremo davvero lamentarci che essa manchi, per un minuto o per giorni, dalle nostre case. Se non nascerà dai nostri piccoli problemi quotidiani, dalle nostre piccole necessità, una nuova pedagogia dell’Amore, quello vero, l’amore per gli altri, non avremo alcun diritto di lamentarci anche per la negazione di un nostro diritto. Oggi, questa pedagogia, passa dall’opposizione netta, aperta, gridata anche nelle piazze e nelle scuole, alla guerra, a tutte le diverse guerre, e all’odio dei tanti e all’egoismo dei pochi, che le procurano. Seminando miserie, distruzioni, lutti. E morti. Per la fame. Per la sete.
Franco Cimino
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