Franco Cimino: "Nameless di Massimo Nisticò: il libro dei senza nome"

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Franco Cimino
  27 luglio 2024 15:24

di FRANCO CIMINO

Per diventare medico bisogna studiare molto. Per rafforzare la medicina con la specialistica bisogna studiare molto. Per fare il medico bisogna lavorare molto di più. Per fare il medico chirurgo quel molto di più cresce ancora. Chi studia medicina, chi fa il medico in ambulatorio o nei reparti o nelle sale operatorie, non ha tempo per ritagliarsi uno spazio di tempo che lo allevii da quelle fatiche, che lo assorbono anche mentalmente. Per essere intellettuale vero devi pensare molto, leggere anche, poco molto, aprire gli occhi sulla realtà, tutta. E creare pensiero originale, attraverso lo spirito di indipendenza e un costante atteggiamento autonomo da condizionamenti pesanti.

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Per essere poeta basta la Luna. Gli occhi di chi si ama. Lo sguardo dell’Amore, che come grazia ti tocchi il cuore. Per essere scrittore, no. Ci vuole molta fantasia, immaginazione dal reale e il reale che trascenda. Ci vuole una storia e cento storie da raccontare. Ci vuole un libro da confezionare e cento libri da pensare mentre hai appena finito quello. Ci vuole una scrittura bella, dove questo aggettivo sia la finezza della stessa e la sua capacità di parlare a tutti, portando ciascuno a parlare al libro, con pensieri. E con parole sue. Dei pensieri suoi. Perché lo scrittore vero è colui il quale, mostruosamente nella sua umiltà, scrive di storie che ha dentro di sé, ma nella narrazione e nello scopo che non sa.

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Potrà pure avere, come un architetto, una struttura organica mentre quella “cosa” lo prende, potrà pure costruirla come un ingegnere fa con un’opera strutturale. Potrà pure riuscirà a mantenere progetto ed esecuzione. Ma lui non sa mai cosa ne verrà davvero fuori, cosa del costruito resterà in movimento. Come il divenire dell’essere, il volo dell’anima. La mente che balla il suo tango segreto con l’amante bellissima/o come il cielo nero della sera. Per poi , lasciarlo andare. L’Amore non si imprigiona. Come il libro. Ché l’Amore libera. Come il libro. Che è di chi lo vive. Come il libro è di chi lo legge. E poi ne racconta. All’autore stesso, che lo riceve estasiato come un libro nuovo. Una storia nuova. Scritti da chi l’ha letto. Ieri sera, nel “teatro anomalo” delle Fontane, dove non sarei andato se non ci fosse stata l’imperdibile occasione, mi sono domandato se e come fosse possibile, che un medico possa essere quel grande medico e lo scrittore quel grande scrittore. Come e se possa essere possibile che le due grandezze possano convivere, stare insieme e muoversi unitariamente, pur nei rispettivi campi d’azione.

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Bene, la risposta l’ho trovata ieri ascoltando un pazzo che nella stessa persona fisica rappresentava l’uomo bello e affascinante, il modello di moda elegante e originale, con il suo vestire personale, il filosofo tedesco per eccellenza con la barba folta e gli occhiali spessi e quei ragionamenti profondi, il prete di campagna e il Vescovo colto con quella parola ondulante e penetrante come il mare e la spada, il teologo, che nello sguardo conserva una sorta di ascetismo, che scende a illuminare un mondo ricco solo di povertà estreme e di contraddizioni anche morali. Un pazzo, che avevo visto nelle chiese suonare e cantare e con quella voce e quella chitarra pregare e invitare a pregare cantando.

La risposta di come trovasse il tempo per essere quelle due grandezze in una, l’ho pure trovata nel suo dire del tempo. E della sua ampia articolazione intorno al valore della Vita, che scorre sul tempo di sé stessa, quale presenza terrena. E su quello dello spirito, che non ha misurazione alcuna. Ieri sera, invece, ha trovata la risposta una mia cara amica di Lamezia, venuta anch’ella con il marito, mio amico, per la stessa occasione. È come potesse svolgersi una conversazione su un libro nel pieno rumoroso passaggio di centinaia di persone del vissuto Centro Commerciale.

La risposta è stata la magia emanata da quel pazzo bellissimo! È bastato che il volto giovane e bello e la parlata fine di Rita Scarfone, libraia divoratrice di libri, introducesse da par suo quel “medicoscrittore” e che dalla sua bocca partissero le melodie di suoni magici di parole e pensieri, che si fanno canto e poesia ed è l’incanto, che tutto trasforma. I rumori del vociare e dei passi e le voci graffianti degli altoparlanti diventano silenzio. Cattura le persone. E le “imprigiona” in quelle carceri d’oro del pensiero narrato nelle store vissute. All’inizio eravamo gli invitati. Trenta, quaranta. Poi cinquanta e sessanta. Il tempo d’iniziare, due minuti del parlare.

E quelle persone diventano folla. Più di centocinquanta incollate in quel “ teatro” particolare. Tanti in piedi. Fermi. Attenti. Poche volte, soprattutto da noi, si è vista tanta gente per la presentazione di un libro. Quasi mai, qui da noi e in tanto altrove, si è vista quella lunga fila di persone, che nella bella libreria del “parco”( e chiamiamo pure così), libro in mano, ha atteso lungamente per ricevere la dedica ampia e personalizzata dalla penna del generoso e “Felice” scrittore. Lo spettacolo è iniziato alle diciotto esatte. E chi se ne importa se a quell’ora c’era la diretta televisiva, anche da me tanto attesa, del magnifico spettacolo dell’inaugurazione delle Olimpiadi a Parigi!

Chi è venuto ieri sera ha fatto un affare. Ha assistito alla presentazione di Namelless, il titolo dell’opera, già un successo editoriale. Ha acquistato il libro. Qualcuno più di una copia. E tutti, come per quel “ paghi uno e prendi due” , diventa “ stai un’ora qui e prendi tutto”. Il libro, la storia, le storie, la poesia, le poesie, la Parola, le parole, la Verità, le verità, il Logos che si fa Verbo. E ancora, il Pensiero, i pensieri, la Coscienza e le coscienze. E Dio che c’è anche se non si vede. C’è anche se non lo cerchi. Anche se non lo senti. E, infine, le domande che generano altre domande, come nel libro che risposte non ha. Come nel pensiero, che risposte non dà, perché la verità è come la felicità. Sono tutte nel cercarle, nel tendere pensiero e anima verso di esse. E ancora, la traduzione filosofica della parola del Titolo, dalla sua etimologia alla sua psicologia. Nemelless, “ senza nome”. Io non ho un nome, io non sono, che è quell’incipit alla vita. Il dovere di domandarsi e di cercarsi in quell’io di cui a volte abbiamo paura.

Per cui lo nascondiamo, nascondendoci. Lo neghiamo negandogli il nome. Il dovere che muove dalla lettura di Nemelless è invertire questo percorso che nulla di noi muove. Ritrovare sé stessi, per raccontarsi senza remore, è incontrare gli altri leggendo nelle loro storie. E accogliendoli nella nostra. Il tutto nel racconto che non trova le parole se non nella Parola, la Vita umana. Quella non nata, cui è dedicato il libro. Quella insistentemente cercata con la tecnica che la vorrebbe “ creare” con il potere di Dio. E la vita che c’è nei figli pur sempre nostri anche quando da noi non generati. Ché essere padri e madri non è un diritto per la proprietà di un essere che ci appartenga, ma presa di coscienza che educare per liberare è la migliore genitorialità. Quella che aiuta a costruire un mondo libero, in cui la Felicità sia più che un’aspirazione lontana. Sia la possibilità più prossima. Ah, dimenticavo, il medicoscrittore, il pazzo di cuore, il genio tenero, l’autore intenso di Nemelless, l’uomo bello e innamorato, è Massimo Nistico, anche Felice. Scusatemi, me ne stavo dimenticando. O, forse, l’avevate riconosciuto da prima che io scrivessi.

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