di FRANCO CIMINO
Facebook, se ne aprissi la pagina, mi chiederebbe “ a cosa stai pensando?”. Sto pensando a questo maltempo, oggi davvero coerente con le previsioni più lontane. È brutto e fa paura. Per fortuna giunge in una domenica che può costringerci ad una sorta di “ gioia” di restare a casa. I luoghi di lavoro sono quasi tutti chiusi e l’unico pensiero è rivolto a quanti sono costretti a muoversi per recarsi al lavoro e poi a lavorare in condizioni difficili e pericolose. I ragazzi non vanno a scuola, e non tanto in segreto cullano la speranza di restare a casa anche domani, cosa, in vero, molto probabile( arriva adesso la notizia, da loro ... e da molti docenti, tanto attesa, che il sindaco ha firmato l’ordinanza di chiusure di tutti gli istituti).
Penso a questa pioggia che si fa, a tratti insistenti, temporale, al vento che potrebbe oggi farsi eccezionalmente cattivo, al nostro mare che s’alza impetuoso e rovina l’opera della stupidità degli uomini che vi hanno costruito vicino. Penso alla terra che si sfarina e cade come valanga sui centri abitati delle nostre piccole alture, e dentro i fiumi facendoli impazzire ed esondare aggravando la pesantezza dei danni. Ai campi curati con fatica a mani nude dei contadini e adesso rimestati dal maltempo, agli agrumeti e agli uliveti che perdono la piena bellezza dei loro succhi. Alle strade che si rompono come un grissino, ai ponti delle ferrovie che potrebbero cedere nuovamente, come le linee ferrate lungo le coste e quella eternamente fragile che sale fino a Cosenza. Penso, con eguale preoccupazione e dolore, alla cara città di Lamezia Terme, impegnata nella giornata decisiva per decidere sull’Amministrazione comunale che dovrà prenderne le sorti per gli auspicati cinque anni prossimi. La più brutta campagna elettorale, che a mia memoria si è appena conclusa, sta per annegare sotto il temporale e sotto la più grave delle condanne per i candidati e la Città. L’astensione dal voto, già al quarantacinque per cento nel primo turno, con il calo fisiologico proprio della seconda tornata unito al proibitivo maltempo, rischia di raggiungere una percentuale mai raggiunta in Italia da altri comuni. Un dato che politicamente si rivelerebbe devastante anche sul piano democratico ed irrimediabilmente dannoso sul piano amministrativo nel momento forse più drammatico per la vita di quella Comunità. Che mai come adesso avrebbe avuto bisogno della maggiore solidarietà tra le forze politiche e della più larga fiducia verso di esse da parte dei lametini.
Aspettiamo i risultati e poi tutti insieme, calabresi di buona volontà e cittadini onesti, cerchiamo di dare una mano generosa a una delle realtà più importante della Calabria, senza la quale questa regione non crescerà mai. Oggi, Lamezia ha bisogno di tutto l’amore possibile, di quel sentirsi veramente calabresi quali uomini e donne in cammino lungo lo stesso sentiero, impegnati dallo stesso destino, motivati dalla stessa ansia di riscatto e dallo stesso desiderio di pace e di libertà. Chi mancherà all’appello, anche nascondendosi dietro il solito duplice dire “ non sono fatti miei, se la sbrigassero loro; io ho da pensare al mio comune, non vedi com’è ridotto?!”, non è solo un egoista, un indifferente, un cinico. No, è un vero cretino patentato, uno scemo del villaggio che non capisce neppure dove, nella triste realtà in cui vive, si deposita il suo stesso interesse.
A cosa sto pensando, ancora? Sto pensando a Catanzaro, la mia Città, che non vuole capire di essere la più bella del mondo, per la perdita progressiva di interesse da parte della sua popolazione, quella rimasta rispetto a quella, non piccola, che è andata via. Sì penso a lei, mia Città, che riceve solo dalla coraggiosa energia impiegata da artisti e piccoli operatori economici, quel sano impulso per guardare avanti, mentre la politica interna non solo quelle energie non vede ma si dilania nelle paralizzanti lotte intestine. Lotte per la cattura di una posizione individuale nelle imminenti elezioni regionali e in quelle considerate prossime per il rinnovo del Consiglio Comunale. La mia Città che non si ribella, non grida il suo dolore, non ritrova il suo orgoglio antico, non si libera da quella sorta di indolenza mista a rassegnazione che l’ha imprigionata tempo fa.
Penso, infine, alla stessa indolenza e rassegnazione dei calabresi, rimasti passivi difronte alla protervia di questa brutta politica che a livello regionale, per ignoranza egoismo individuale e stupidità, la malgoverna, e a livello nazionale la utilizza per gli accordi di spartizione partitica delle regioni mentre la tiene fuori da ogni progetto politico e programma di governo. Solo in Calabria è potuto accadere che un presidente di regione tenesse tutti in ostaggio, non decidendo la data della chiamata alle urne e poi fissarla molto oltre quella della scadenza dei cinque anni di legislatura, portando la campagna elettorale fin dentro le festività del Natale. Solo in Calabria è potuto accadere che la decisione sui candidati a presidente avvenisse a Roma per opera di figure politiche che nulla conoscono della regione; che la suddetta decisione avvenisse sul piano della lottizzazione tra i partiti delle diverse candidature; che ancora oggi non si sappia chi siano i candidati né del Centrosinistra né del Centrodestra, impedendo di fatto agli elettori di formarsi almeno un giudizio meno superficiale del prossimo loro presidente. Solo in Calabria può nuovamente accadere che non si levi una voce di protesta, un moto di disgusto rispetto a tutto questo. Un segno di indignazione pensata che lasci spazio alla speranza che esso si tramuti in futuro in fatto politico, in potenziale di nuova classe dirigente. Nuova, fresca, pulita, onesta, conoscitrice e innamorata della nostra terra, volenterosa e competente, indipendente e libera da qualsivoglia consorteria di potere, manifesto o segreto, legale e illegale, che sia, è quella di cui la regione ha bisogno.
Ecco a cosa sto pensando in questa domenica di pioggia che non smette di battere forte sul selciato, sui vetri. E sul petto, il mio, dove, vi confesso, scusandomi, si muove un piccolo senso di colpa, aggravato dall’ascolto di una tra le più belle canzone tratta dalle musiche di The Lost City, un film magnifico del 2005, di Andy Garcia: non aver pensato come avrei dovuto a chi della mia vita è vita. Vita che manca.
Franco Cimino
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