di FRANCO CIMINO
Con Gerardo Gambardella non scompare solo un giornalista, ma molto di più. Egli non era solo un giornalista, ma molto di più. Era un innamorato di Catanzaro e della Calabria, loro fedelissimo servitore in quello spirito di cittadinanza che distingue il cittadino buono da chi che non lo è. Per questo poteva criticare ambedue senza apparire ingiusto, offensivo e “ traditore”, come lo sono i calabresi indolenti e colpevoli di disamore e gli anticalabresi di professione o per stupidità antimeridionalistica. Gerardo era di Amalfi e il perché giunse qui, a Catanzaro, non lo seppi perché non lo domandai mai. C’era, però, da sempre, qui da noi. E per quel lontanissimo ricordo che me lo fece incontrare nei tempi aurei della irripetibile Telespazio, una delle vere prime televisioni private italiane. Berlusconi, tanto per intenderci, venne dopo. Una delle cose che mi colpirono, tra le tante, di lui fu la sua parlata e la sua dizione in essa. Mi colpì due volte, fino a oggi che ne parlo pubblicamente. Non imparò mai il catanzarese e neppure la sua inflessione. La sua “parlata” aveva un suono napoletano, confusamente campano, e tale é rimasta senza cedere alle tentazioni dell’acculturazione e alle diverse forme di contaminazione. Perché è accaduto? La risposta la si può trovare nel suo carattere schietto e genuino, nella sua onestà e senso della fedeltà, che gli consentirono di poter essere calabrese senza rinnegare la sua origine.
La seconda volta mi colpì per il fatto che facesse il giornalista televisivo. Con quella voce e quella “amalfitá? Sì, con quel suo originale ma determinato modo espressivo. Perché è potuto accadere ciò? Toni Boemi, il creatore della Telespazio televisione e comunicazione, impazziva per lui. E anche i sempre più numerosi telespettatori. Gambardella con il microfono in mano in giro per la Calabria o dietro la scrivania del telegiornale, appariva in video esattamente com’era. Immediato, schietto, sincero, diretto, semplice e genuino. Soprattutto, vero. Per questo piaceva alla larghissima fetta di telespettatori. A tutti appariva simpatico. E credibile. Era chiaro da subito che fosse onesto. Di lui ci si poteva fidare. Non si dava arie e non era presuntuoso, mai arrogante e pretenzioso, neppure nel lungo tempo in cui ricoprì la carica di direttore responsabile della famosa e grande emittente. Gerardo Gambardella era più che giornalista, era un cercatore di notizie. Per questo, non prediligeva stare in studio. Preferiva la piazza, le strade, i luoghi in cui i fatti accadano e come accadono vanno visti e raccontati. E attraverso le persone in carne e ossa, che lui rendeva protagoniste della notizia e della trasmissione. Specialmente, quelle che normalmente hanno meno voce di altre.
Memorabili molte sue interviste e inchieste. Gerardo era un maestro in questo. Come lui, pochi. E prima e dopo di lui, sebbene il suo dopo cominci solo oggi, giorno della sua partenza definitiva. Infatti, questo super giornalista, innamorato come un matto di questo mestiere, non ha mai smesso di lavorare. Abbassate le saracinesche su Telespazio e non trovando in giro televisioni del suo livello, si fece un giornale tutto suo. Un piccolo giornale di solo pochissime pagine. Alla fine, perché carta e stampa costano molto, solo quattro facciate. Sempre puntualmente uscite, mi pare a cadenza settimanale. Si occupava, con una competenza davvero più unica che rara di questi tempi tristi, di sanità e delle sue vaste problematiche. Della situazione regionale e locale, con coraggio e chiarezza argomentativa, denunciava limiti, errori, distorsioni e disfunzioni, debolezze morali e fragilità dirigenziali.
Non temeva nessuno e ad alcuno non doveva ricambiare alcunché. Gambardella era un uomo libero, un giornalista libero e liberatore. Ormai, stanco e avanti negli anni, faceva tenerezza vederlo, col freddo e col caldo, con la mazzetta del suo giornale sotto il braccio, in giro per uffici e vie e locali della Città, a distribuire il suo quattro facciate elegante e patinato. E gratis, persona per persona, scusandosi pure di farlo come se avesse timore di disturbare. E, poi, quella sommessa preghiera di leggere, in particolare quel dato articolo, e di dirgli il tuo pensiero in merito, magari al prossimo casuale incontro. Era una richiesta, questa, finalizzata non solo alla trasmissione di ciò che egli aveva conosciuto( dovere primo del giornalista), oppure alla sensibilizzazione delle coscienze rispetto a una sanità malata che ci ammala. Era, soprattutto, il modo di non sentirsi solo, ché la solitudine è l’unica compagnia del giornalista vero. Gerardo Gambardella e la sua solitudine ci mancheranno molto, mentre anche di queste assenze Catanzaro e la Calabria si fanno sempre più deboli.
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