di FRANCO CIMINO
Stavo pensando ad altro, scrivendo d’altro, leggendo d’altro, arrabbiandomi per altro, quando i miei occhi si imbattono, non avevo ancora letto i nostri giornali, in una bruttissima notizia. Piero Caprari non c’è più. Mannaia, mannaia, mannaia, cento volte mannaia, che mi viene di affacciarmi dalla finestra e urlarlo con tutta la forza in gola. L’avevo visto l’altro giorno. Bello, elegante, composto, discreto, riservato, timido. Come sempre. E dove l’avevo visto se non in un luogo dei tanti in cui l’ho incontrato in città? Una piazza, una strada, una sala pubblica, una scuola, dove si sia dibattuto di un tema, un problema, una proposta. Una piazza, una strada, dove la gente, sempre poca quella, si riuniva per protestare democraticamente. Una strada, una piazza, dove trovare idee, i suoi antichi ideali. E quella passione delle sue lontane battaglie giovanili. Una strada, una piazza, una scuola, il lungomare, dove incontrare i giovani, per sentire ancora il cuore, il suo di uomo adulto in quello dei ragazzi. Una scuola, una piazza, una strada, in cui sentire la forza di un vento nuovo.
La freschezza di un tempo nuovo. Il profumo lontano di una rivoluzione lontanissima, ma per lui sempre prossima. A portata di mano, al lancio di uno sguardo, a distanza di un giorno, ché la sera non porta stanchezza e neppure la notte buoni consigli. La rivoluzione, che sia nel cambiamento possibile, si fa tutto il giorno. Tutti i giorni. A braccia liberate, a mani libere, a cuore libero. Lo incontravo sempre Piero, quest’uomo fine, dalla parlata “ forestiera” mai ceduta alla contaminazione. In quei luoghi lo trovavo. Quest’uomo dai modi gentili, dai pensieri raffinati, dalla parola pulita, semplice. Educato e dal sorriso sincero, che si apriva da quei baffi bianchi, carichi, ben pettinati, come i suoi capelli folti e non tutti completamente canuti. Dove incontrarlo ancora se non al cinema, rigorosamente quello in Città, il supercinema, la nostra bomboniera delicata? E dove, se non al teatro, sempre quello più centrale del centro storico, il Comunale? Ovunque ci fosse da pensare, riflettere, criticare con la propria intelligenza, vedere oltre le immagini e le rappresentazioni, i comizi e gli interventi, oltre le parole e i gesti, oltre gli stessi protagonisti di una qualche scena, Pietro c’era. Puntuale, quasi nascosto dietro la sua umiltà e discrezione, nelle ultime file, dalle quali, a fine manifestazione spuntava per chiederti un parere, per dire il suo. O anche solo per salutarti.
Quasi sempre, (solo negli ultimi tempi non gli era possibile)con accanto la moglie, la sua amata, pasionaria di passione uguale ma di carattere personale diverso, quasi opposto. Ma cosa cercava o chiedeva o stimolava in tutti questi luoghi, un uomo di scienza, un ingegnere apprezzato nel suo campo di particolare competenza? Cercava la sua fede laica nel credo forte della Democrazia. La sua era quella universale, condivisibile, anche se partiva dalla sua cultura fermamente posizionata a sinistra, nonostante le delusioni ricevute dagli errori e dai ritardi delle formazioni della sinistra storica alle quali aveva donato adesione e partecipazione. E non poche fatiche. Ma le sue battaglie erano ben chiare e irrinunciabili, ci fosse o non la sinistra in esse. Ne indico le più insistenti, la Pace, le guerre, la guerra, l’ingiustizia, la povertà, le carceri, la corruzione. La violenza. E ancora, il degrado della città e della Città, il Masciari, i quartieri, la droga, le emarginazioni dei diseredati. La tutela dei beni culturali. E quelli naturali. L’acqua. L’inquinamento. L’energia e il paesaggio. Tutte tematiche, che ci hanno visto insieme, lui da quella parte, io democristiano per il quale aveva nutrito inizialmente una certa diffidenza.
Sentire, questo, che mi confessò, anni fa, lo sorprendeva. Si domandava, e mi domandò, come fosse possibile che un democristiano facesse, partecipasse, e di più dicesse e scrivesse intorno a quelle battaglie. Sempre e coerentemente. Insieme ci vide, in prima fila, la doppia battaglia che facemmo nelle campagne elettorali di Fiorita. L’ultima vincente, lo vide, sudato e stanco, in quella notte della festa di popolo, come lui l’aveva concepita nella gioia di aver visto avanzare il cambiamento nella Città, che amava tanto. Piero non era di Catanzaro. Non era calabrese. Veniva da una Città molto lontana da qui. Ci venne per lavoro. Decise di restarci per sempre. Pochi catanzaresi, come lui autenticamente catanzarese. Pochi che amino questa Città come lui l’ha amata. Pochissimi che l’abbiano difesa e servita come ha fatto lui. Piero come potremo mai ringraziarti abbastanza per averci dato tanto? Per averci insegnato grandi cose? Ricordarti in modo solenne in una forma che ti lasci nella nostra memoria per sempre, come sono certo farà il Sindaco, il tuo, soprattutto, il nostro sindaco? Sì, sarà bello, ma per chi ti ha conosciuto personalmente, sarà poco. Grazie Piero, è il mio più semplice segno d’amicizia che ti devo. Sono certo l’hai sentito già.
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