di FRANCO CIMINO
Ssssst, silenzio! Adesso facciamo silenzio. Soprattutto, coloro che, con grave superficialità, hanno descritto, con precisione scientifica, la scena di una delle aggressioni più incredibili che un uomo solo abbia potuto compiere, per quanto la sua forza possa essere stata spinta dall’ira o dalla follia. Un orribile delitto, quello nella Valle dei Mulini improvvisamente risvegliata dal sonno di ambizioni perdute, di promesse tradite, nella Città in cui tutto il bello si trasforma in lacerante attesa di cose che poi rovinano. Un delitto incredibile, che avrebbe potuto essere strage e che ancora lascia sulla soglia della vita un’altra persona, padre di famiglia anch’egli. Silenzio dunque, ché la morte lo impone. Il dolore di chi ha il cuore rotto dalla grave perdita, lo esige. Il dolore straziante di quella mamma, bella e coraggiosa, lo implora come in una preghiera, quella della sera per proteggere i figli nei loro ritorni a casa. Silenzio. E silenzio profondo, quello in cui neppure le grida e il pianto si fanno rumore.
È morto Pippo, un “ragazzo” di Marina, uno di noi. No, ho sbagliato. Non uno di noi, ché lui era un giovane speciale. Più buono, più pulito, più fanciullo, di chiunque di noi. Un uomo della Natura, con gli occhi da sempre saltellanti tra il mare e la campagna, per poi infilarsi dritti nel cielo, tetto del mare e della campagna, scrigno segreto dei sogni suoi. Pippo, il ragazzo discreto, riservato e timido, con quel sorriso sempre aperto alla fiducia negli altri, all’ottimismo della vita. Quel giovane che mai avrebbe conosciuto la vecchiaia, anche se fosse ancora vissuto cinquant’anni, per quel suo stare sempre all’aria aperto. E all’aperto di ogni cattivo pensiero. Anche quello comprensivo dell’invidia e dell’egoismo.
Sempre fuori, lui. A lavorare. Da mattina presto a sera, con quei ritorni puntuali tra gli occhi sorridenti e le braccia forti della sua amata mamma, che lo riposavano da fatiche e dolori, da preoccupazioni e delusioni. Pippo, la dolce persona che distribuiva la sua tenerezza tra il sostegno alle persone fragili-disabili e anziani tra questi- e i suoi cavalli, ai quali sapeva parlare il linguaggio che affratella. Gli esseri umani e gli animali, affratella. E tutti alla natura nella sua vera ragione e identità. Affratella gli uomini tra loro. E tra loro e tutto ciò che è vita, come l’accoglienza del “forestiero”, la solidarietà verso chi più ha bisogno. Del pane come di un abbraccio e una parola. Pippo, n’animella, come avrebbero detto il mio e il suo papà, incapace proprio di fare del male a chiunque, neppure sotto un ordine militare in guerra. Pippo, dalla sana educazione ricevuta, oltre che dall’indole docile, impedito in qualsiasi manifestazione di aggressività, fosse anche quella verbale delle offese o degli “ epiteti”, nei confronti di qualsiasi persona. Umile sempre. Con tutti, non concependo vi potessero essere uomini inferiori o da sottomettere dietro il carico del bisogno o del diritto negato. Educato e rispettoso verso chiunque. Basterebbe andare nella piazza delle sue brevi soste al bar dell’ancora più rapido caffè, per riceverne le più ampie testimonianze. Oppure dalle donne che gli hanno riempito la vita d’amore, dalle due sorelle alla figlia alla sua dolcissima compagna. Oppure ancora, dagli amici, dai più semplici conoscenti e da quanti hanno avuto la fortuna di essere messi a cavallo dalla sua maestria e amorevolezza.
Ecco, facciamo silenzio! Questi sono i giorni dell’immane dolore per una morte tanto assurda quanto ingiusta. Di un giovane strappato violentemente, come un fiore di campo, nel pieno della vita e dei sogni progettualizzati. Un ragazzo bellissimo sottratto all’improvviso a una Città che ha tanto bisogno di sane energie come la sua. E alla Marina, che ad ogni perdita, come questa, sprofonda nel disorientamento e nell’incertezza a causa dell’identità che le si sbiadisce progressivamente. Pippo si è arreso alle cure e alla sofferenze indicibili che non sarebbero state annullabili. Il bollettino medico dice che stamattina ha smesso di lottare e di vivere. Ricordando la sua bontà e il suo spirito non violento, mi viene di pensare, invece, che egli si sia arreso l’altro ieri dinanzi alla violenza più feroce, non potendola concepire neppure come arma “ impropria” per difendere se stesso e la sua vita. Per questo la generosa donazione dei suoi organi rappresenta idealmente il suo tributo d’amore alla vita. La vita degli altri. La vita per gli altri.
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