
di FRANCO CIMINO
SE QUELLA CHE STATE COSTRUENDO LA CHIAMATE PACE…
Dal dramma alla beffa. Dalla colpa all'assoluzione. Dalla tragedia alla commedia. Dalla serietà alla comicità. Dal pianto grave alla risata sguaiata. Si ripete sullo stesso scenario del dolore e della morte, del sangue e delle distruzioni, sempre la stessa scena. I guerrafondai pacificatori, i signori delle guerre, che con le guerre si arricchiscono di denaro e si potenziano di potere, che giocano a fare la pace. E, chiusi nelle stesse stanze dove hanno ordito le guerre e deciso le morti, si dividono la grande torta dell'arricchimento sulla distruzione. La chiamano ricostruzione, sulla scacchiera dell'economia mondiale, dove operano le grandi imprese, le enormi fabbriche producono altro che le armi e i grandi affari ballano sulle vittime innocenti. La chiamano crescita economica, mentre impegnano le agenzie finanziarie internazionali, vezzeggiate con il nome di rating, per misurare la ricchezza dei singoli paesi. Ovvero, le loro crisi, l'incremento dell'occupazione, la crescita del PIL. E tutte le amenità del genere, che servono anche a coprire la vera povertà sempre più largamente diffusa nella società in conseguenza delle guerre e del costo che le stesse gravano soltanto sulla povera economia della povera gente.
Come vogliamo chiamare questa sceneggiata, che passa da Washington a Johannesburg e, sempre sulla testa dei popoli oppressi, realizzano accordi di potere per i poteri veri, in particolare, quelli che non si vedono e che non vedono mai coloro che non hanno più occhi per piangere, quei povericristi che sono stati per anni bombardati, espulsi dalle loro città, negati della loro storia, umiliati e repressi nella loro speranza di progresso e libertà? Come vogliamo chiamarla questa sceneggiata? Ipocrisia? Noi, con altri pochi, l'abbiamo definita già così. E prima ancora del discutibile piano di pace per il Medioriente e la terra di Gaza. Inganno e menzogna istituzionalizzata? Anche questo noi, e altri pochi, abbiamo detto. Una vergogna globale? Anche questo è stato detto già dall'inizio dei primi bombardamenti e dei russi e degli israeliani. Quattro anni e mesi fa, i primi. Due anni e mesi fa, i secondi. Lo abbiamo gridato, in pochi, in verità quando apprendevamo dell'abbattimento di case, scuole, ospedali, università. E ancora di più, quando abbiamo visto i campi di grano, di mais, di girasole, bruciare e le terre belle e ricche, dove sempre batte il sole e lungo quella striscia si adagia il mare, piegarsi sul dolore e sulla bruttezza.
Abbiamo poi pianto disperatamente, accostando il nostro grido di dolore a quello delle madri palestinesi davanti ai cadaveri straziati dei loro figli. E a quello delle madri che vedevano il corpo del loro figlio soldato, tornare in un bara. E delle madri i cui figli dalla guerra non sono ritornati neppure come corpi morti. Dopo tanto tempo di feroci bombardamenti dal cielo e da terra, oggi si vogliono contare soltanto le parole e le pagine dei protocolli delle bugiarde intese. I morti no. Le ricchezze distrutte e quelle rubate, neppure. Chi conosce il numero esatto dei morti ammazzati dai padroni delle guerre? Chi li ha mai contati? Abbiamo solo dei numeri imprecisi, calcolati sommariamente dalle organizzazioni umanitarie internazionali. Ma quanti sono? Sullo scenario russo-ucraino, quanti morti? Dicono un milione sul fronte russo. E circa ottocentomila nell'esercito ucraino. Il numero dei feriti sarebbe addirittura il doppio. Parliamo solo di soldati di eserciti contrapposti. Vi sembrano pochi? E quelli di decine di migliaia di civili, tra cui donne e bambini? Sono pochi? E i vecchi uccisi di cui nessuno parla, perché la nuova cultura della vita li considera addirittura ingombri quando invece sono forza viva nella società in trasformazione e storia vivente, memoria accesa di culture e sentimenti, religiosità e laicità vissute?
Ecco, quanti morti tra i vecchi? E quanta memoria è andata persa per sempre? E nella terra del sole, dove, sopra i cadaveri appena sepolti dalle macerie, vorrebbero costruire resort a cinque stelle e super lusso, quanti sono i morti? Dicono ottantamila. Pure questi sono pochi? E quanti i bambini massacrati? Dicono trentamila. Vi risultano pochi, trentamila bambini appartenenti alla stessa gente? Sono un pezzo di futuro di un popolo che si perde, una storia che non si rinnova e si consuma nell'umanità che non diviene più in essa. Se non è genocidio questo, cosa davvero esso è nel significato di questa parola? No, queste parole sono ormai superate. Anche quella che si avvicina all'immoralità. O all'assenza di morale. Siamo andati tutti ormai oltre. Oltre i fatti. Oltre le parole. Oltre il significato dei fatti e delle parole. Li abbiamo tutti consumati. Ad inventarne altre, non ci riuscirebbe neppure il più dotto dei linguisti. Siamo in bilico sullo stretto confine in cui il senso umano della vita si scontra, a rischio di sconfitta, con la perdita del senso umano della storia e del Progresso, quale compito che la storia demanda a se stessa.
Da qualche giorno, mentre a Gaza si continuano a lanciare bombe e ad uccidere persone inermi, così come in Ucraina, la propaganda del potere della guerra ci bombarda continuamente attraverso i suoi strumenti pubblicitari, delle notizie sull'avvenuto accordo per la pace in Ucraina. Si sa che è stato preparato dal presidente degli Stati Uniti, ma non ancora si sa chi l'abbia sottoscritto. La Russia gioca a far sapere che sommariamente potrebbe essere d'accordo. Zelens'kyj, che pure aveva manifestato disappunto per non essere stato neppure consultato, alla prima minaccia di Trump corregge il tiro e dichiara piena disponibilità ringraziando addirittura gli Stati Uniti.
E l'Europa? L'Europa, sempre lontana da tutto, "minaccia" di non essere d'accordo per tanti motivi, primo tra tutti la sua assenza dal "tavolo" della Pace. E, sempre con la stessa "minaccia", dichiara di avere pronto un piano probabilmente alternativo o molto correttivo di quello americano. E poi, c'è l'Italia, l'Italia sempre americana, con il suo presidente del Consiglio più americano e trumpiano degli stessi americani trumpiani. Cosa dice l'Italia per bocca del suo capo del Governo? Dice, senza aver consultato né il suo governo né il parlamento, che un piano c'è già. Ed è quello degli Stati Uniti. Il quale avrebbe molti punti condivisibili, per cui basterebbe inserire qualche proposta correttiva per quelli ancora sospesi.
E così la pace dei vincitori è bell'e pronta. La commedia finisce, con la solita battuta: "noi abbiamo recitato, se lo spettacolo vi è piaciuto applaudite, altrimenti fa lo stesso, il teatro è nostro". È così, di seguito, va nel cestino il diritto internazionale, le sanzioni da esso già applicate nei confronti di chi l'ha violato, le discussioni sui crimini di guerra, per non dire del genocidio, l'orrore della pubblica opinione mondiale per ciò che è accaduto in quei teatri (e parliamo solo di quelli a noi noti), delle centinaia di migliaia di morti e il doppio dei feriti, delle distruzioni e delle rovine materiali e morali, delle morti dei bambini e delle donne e dei vecchi e delle persone disarmate e innocenti, delle ricchezze distrutte e derubate, non se ne parlerà più. E, ancora, di ogni forma di barbarie e di tutta la tracotanza in quello spirito nefasto della forza fisica del più forte che si impone disinvoltamente sui deboli, del nuovo temibile principio attraverso il quale da oggi chiunque abbia voglia di prendersi popoli e territori, annettendoli al proprio paese e potrà tranquillamente farlo, tutto questo va al macero. Sarà come se non fosse mai esistito. E non soltanto saranno azzerate le colpe e le accuse, ovvero nessuno pagherà per i crimini commessi contro l'umanità, la persona, la vita, quanto quegli stessi crimini e quelle stesse persone colpevoli, diventeranno il metro di misurazione della nuova morale. E della nuova politica.
Quella che, al posto della politica e dell'etica, di tutte le religioni e di ogni laicità, governerà il mondo e orienterà le culture, costruendone una nuova globale e insuperabile. La cultura del potere nudo e crudo, quale unico strumento che regolerà le dinamiche sociali, i contenziosi e i conflitti tra le classi, le incomprensioni fra nazioni, e che annullerà ogni desiderio che riporti l'umanità ai principi fondamentali per i quali essa è nata, come luogo umano nel quale la persona si valorizza e con essa si afferma il principio inalienabile della libertà per tutti: persone, popoli e stati.
Anticipo qui l'osservazione che qualcuno dei miei pochi lettori farà ancora una volta, leggendomi. Si trova nella domanda: "Ma tu vuoi che la guerra continui e che con essa ci siano altri morti? Pure quelli innocenti che tu pensi di difendere?" E, però, questa volta non risponderei, non perché non saprei farlo, ma perché mi mancano le parole. Anch'io le ho consumate tutte, e altre nuove non ne so inventare.
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