di FRANCO CIMINO
“Una mattina mi son svegliato o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao una mattina mi son svegliato ed ho trovato l’invasor...”
È bella questa canzone. Tutta piena di semplicità nella profondità degli ideali che rappresenta. Il motivo è ancora più semplice, poche tonalità e, come i canti solenni e le canzoni religiose, diventa alla portata di tutte le voci. Infatti, questa, come quelle e tutte i canti popolari, viene cantata da bambini, giovani, vecchi, uomini e donne, contadini e operai, intellettuali e maestri, intonati e stonati. Chi la canta lo fa con una certa sincerità, moltissimi con emozione profonda. Insomma, se in qualche modo nel cuore non la senti, non puoi cantarla. Ti si rompe nella bocca. Il suono non esce, la parola inciampa. Possiamo, quindi, definirlo un canto d’amore e dell’amore vero, quello universale? Sì, possiamo definirla così. E l’amore universale non è quel sentimento che lega? Persone e popolo, gente con gente, terra con terra, lega? Sì, lega in questo modo. E lega uomini e donne e i confini dei territori spazza via. E non lega anche pensieri politici, dottrine, idee diverse tra loro e, addirittura, ideali e ideologie? Sì, lega pure questi. Allora, questa canzone, diventa luogo, spazio fisico, tempo senza tempo e tempo dell’incontro? È cuore dell’uomo, è piazza degli uomini e degli ideali? È abbracci e strette di mano, sguardi che si incrociano? Sì, questo canto è anche questo spazio. E, quindi, si potrebbe dire che è ideale unificante, il sogno? E sogno con ideale, non creano l’utopia?
Sì, non ce l’hanno detto dopo quella famosa data e neppure nelle scuole del Paese “ arricchito”, ma è proprio questo. L’incontro in sé genera l’Utopia, e di essa ne rimane la forza. Ma, una sola parola, nel più vasto dizionario del mondo, non c’è per rappresentare tutto questo? Come no, certo che c’è. Ha un solo genere e si scrive con la maiuscola: Politica. Ma come, Politica contiene tutto questo? Non è lo strumento per l’incontro ridotto, quello a metà strada tra posizioni contrastanti, che chiamano compromesso o mediazione delle realtà concrete? E politica non è, come dicono tutti, l’arte del possibile? No, non è questo, ovvero lo è solo per quel sostantivo scritto con la p minuscola.
Che, tra l’altro, da solo si contraddice quando chiama in causa l’arte, che è in sé l’energia della creatività e lo spazio delle creazioni sublimi e senza limiti. Politica, invece, è il luogo più eletto dell’incontro. Quello dove gli uomini arrivano da soli e camminano insieme, l’unità diventa molteplicità, la diversità affinità, l’io diventa noi, il maschio e la femmina un unico soggetto umano. Il tutto, senza che nessun elemento in campo perda un solo grammo della sua identità e del suo valore originario.
La Politica aggiunge valore alle cose, alle persone, alle idee, che incontra. Dona, non toglie. Molto riceve e tutto dà. Soprattutto, riconosce e accoglie un valore fondamentale per ogni incontro: la libertà. La politica, non la concede, semplicemente la riconosce. E poi per non dimenticarsene la scrive su una carta, la Magna Carta. Nell’uomo la riconosce, la Libertà. Nella natura e in tutti gli esseri viventi. La riconosce e la difende. Dalle cose vecchie la fa rinascere. Dalla morte la fa rivivere. Dall’oscurità la tira fuori. Alla materia creata e, quindi, all’economia, gliela dona, come soffio di spirito vitale e fine ultimo e primo. La Politica senza Libertà non è. Ovvero, è un’altra cosa, sede dell’arbitrio, dell’arroganza, della sopraffazione dei pochi sui molti, dell’egoismo sfrenato e delle diseguaglianze, della violenza. E del potere senz’anima, che si fa guidare, nell’istinto alla guerra e alla morte, dalla forza opposta alla ragione. Questa politica ha come sbocco naturale la dittatura e il totalitarismo. L’altra, invece, incontra la Democrazia. Queste due concezioni della politica si sono scontrate, anche in armi, purtroppo, settantacinque anni fa esatti, dopo vent’anni di crudele prevalenza di quella fasciata di nero, il colore del cielo scuro e minaccioso, della morte e del lutto, del dolore e dell’ingiustizia. Quello scontro non fu tra italiani divisi da reciproche validate ragioni, una sorte di inqualificabile guerra civile. È stata la ribellione degli uomini liberi contro un potere violento e oppressivo. Lo scontro tra libertà e tirannia. La difesa del popolo dal suo tiranno. È stata la vita che si è opposta alla morte, facendo rinascere nel paese della Bellezza la cultura della vita, che la Bellezza cerca e protegge. E al mondo offre, perché la Bellezza, come la Vita, è di tutti, anche rispetto a chi fisicamente la possiede, o, meglio, l’abbia in prestito ricevuta.
Ecco, quella guerra partigiana è stata un’azione per la Pace per la sconfitta definitiva della guerra. Di ogni guerra che, attraverso varie forme, anche quelle più gentili, si muove nell’azione violenta di un uomo contro un altro uomo, di un gruppo ristretto, chiamato élite o classe dirigente, contro le masse o categorie di uomini e classi sociali. Di ogni atto di potere che voglia segnare le differenze sociali e della diversità fare la condizione di inferiorità o di svantaggio. Di ogni azione umana che crei divisioni e diseguaglianze e sulla società si imponga con l’egoismo, e su di esso costruisca ingiuste ricchezze, spesso in danno della Bellezza, una volta derubata, un’altra sfregiata. Questa Resistenza, resiste, nonostante le politiche che, cambiando colore e sostanza della democrazia, negli ultimi venticinque anni, stanno conducendo una feroce battaglia per rinnegarla o ridimensionarla. Ovvero, per farne il brevissimo tragitto della dimenticanza e della riduzione ad opportunistico aggancio alla vera guerra. Quella condotta dagli alleati contro Mussolini e Hitler, in cui i partigiani avrebbero fatto la parte dei ragazzi che si divertivano un po’. Le bugie, è vero che ripetute tante volte si trasformano in verità bugiarda, ma la bugia tanto più grossa è tanto più si vede. Importante è non spostare la visuale e decentrarla verso altre mete. Come quelle, ancor più illusorie, della modernità magnifica e magnificente, mostrata, purtroppo, da un sistema di istruzione e formazione che, tra l’altro, l’insegnamento della storia recente dell’Italia e la conoscenza dei valori su cui è fondata la Democrazia, considera quasi una perdita di tempo scolastico e una noiosa fuorviante retorica. La Resistenza resiste.
Ed oggi bussa più forte alle nostre porte blindate dall’interno. Alle porte di casa, bussa. Alle porte degli ospedali, bussa. A quelle dei cimiteri, bussa. Alle porte delle chiese, delle religioni, della carità e della solidarietà, bussa. Bussa alla porta del potere e a quelle delle Forze militari e dell’ordine. Bussa per dire non solo che lei, la Resistenza non è mai andata via e non si è mai spaventata di chi voleva cacciarla, e non solo come memoria del Paese. Bussa per portarci, oggi che ne abbiamo bisogno, quel dono di settantacinque anni anni, che forse non era proprio il venticinque aprile o lo fu solo per Milano liberata in quel giorno. Il dono della Libertà, quella vera, il cui significato( quello che i più anziani abbiamo dimenticato e i giovani non hanno mai potuto apprendere pienamente), si libera dalle nostre mani, si scioglie nelle nostre carni, si materializza nelle nostre menti. Si carica di nostalgia e di attesa nei nostri occhi che guardano la visuale più stretta davanti alle finestre chiuse. Ecco, la libertà è tutto ciò che noi abbiamo desiderato in questi due mesi. Ma lo Stato che ce l’ha momentaneamente sospesa non è il nemico, questa volta, bensì il padre amorevole che ha voluto salvare la famiglia da un nemico cattivo.
Tuttavia, ciò non basta per capirla e sentirla, la Libertà, o comprendere e accettare questo Stato che si è mostrato magnanimo e attento, oggi. La Resistenza che bussa alla porta, ci dice un’altra verità che abbiamo dimenticato e che però i padri della Democrazia hanno voluto che vivesse nella Costituzione. Questa verità è nello spirito della Resistenza: la Libertà non ci viene regalata senza la fatica di difenderla per noi e per chi verrà dopo di noi. Non è un bene acquisito per sempre. La Libertà non è diffidente per natura, ma è intelligente, per cui si guarda bene dagli inganni e dalle lusinghe. È buona nell’animo, ma non distratta e arrendevole. Si concede ma non è concessiva.
Soprattutto, non si concede al potere nudo di politica e di morale. La Resistenza, che bussa alla nostra porta ci dice, pertanto, che quando usciremo dalle nostre dorate prigioni dovremo tenere occhi e orecchi accesi, per non consentire a nessuno, proprio a nessuno, e per alcuna ragione, proprio alcuna, di utilizzare l’attuale emergenza per rendere stabili alcune forme di provvisorietà limitative della libertà. Al singolare, lo dico, non al plurale. Perché non c’è, e anche la Costituzione lo afferma, alcun diritto primario, anche quello della salute, che possa conculcare altri diritti. Questo lo grida più forte oggi la Resistenza. Per questo è festa.
Della liberazione da ogni catena, laccio e bisogno. È festa della rinascita attesa e della ricostruzione che ci siamo tutti promessi. È la festa della Libertà, che è di tutti, anche di coloro che vorrebbero negarla a se stessi e agli altri. Quindi, è la festa di tutti, la festa del popolo italiano.
Che, sono certo, dal prossimo anno ritornerà nelle piazze con quello spirito unitario con cui l’ha festeggiata per oltre cinquant’anni. “ O partigiano portami via o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao o partigiano portami via che mi sento di morir.
E se io muoio da partigiano
o bella ciao
bella ciao bella ciao, ciao, ciao
e se io muoio da partigiano
tu mi devi seppellir...
E questo è il fiore del partigiano
o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao e questo è il fiore del partigiano morto per la libertà.”
Questa è la canzone, ormai divenuta il canto degli uomini liberi e dei popoli che lottano per la libertà nel mondo. Io la canto sempre, vieppiù stamattina e fino alla mia sera. Non importa che non sia stata cantata in quella lotta partigiana, che sia nata molto prima e, forse, nei campi di riso, o altrove ancor prima. Non importa che il testo originario non sia il nostro, come non importa che sia stata adottata vent’anni dopo la fine della guerra. Importa solo che quelle poche strofe e quelle quattro note, contengano tutto il significato di Libertà e il desiderio e il coraggio di volerla difendere, conquistare e riconquistare sempre.
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