Franco Cimino: "Ti ricordo ancora don Antonio, vescovo Cantisani, amico mio"

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Franco Cimino
  01 luglio 2024 12:08

di FRANCO CIMINO

 Tre anni fa esatti. Era una giornata come questa. Silenziosa e calda già dal primo mattino, una leggera foschia ombrava il cielo. Alle dieci e qualche minuto, un lungo lento rintocco di campane, dava la notizia purtroppo attesa. Temuta. Mons Antonio Cantisani, il vescovo di Catanzaro e Squillace ininterrottamente dal 1980 al 2003, moriva. Era nato a Lauria, in Basilicata, il 2 novembre del 1926.

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A Catanzaro provenne da Rossano della sua prima nomina vescovile che era ancora giovane. Della nostra Città si innamorò profondamente e vi decise di restare anche dopo la conclusione del suo mandato. Fino alla fine della sua vita, come aveva promesso. Si stabilì nel palazzo del Seminario attaccato a quello vescovile, nel modesto appartamento di tre piccole stanze(quella da letto, quella dello studiolo, più piccola ancora, e la piccolissima, una specie di salottino, dove un televisore lo divertiva nei momenti di riposo e lo infuocava nelle domeniche di calcio della sua Fiorentina) ricavato per lui. La scelta non fu solo di natura logistica. Restare in centro, “passeggiarlo” quotidianamente, stare vicino alle sue chiese, la Mezzogiorno, il Duomo, la Basilica, la Rosario, la San Nicola, la Santomobono, da lui riscoperta e valorizzata, questo il suo desiderio. In tutte queste chiese, tra l’altro, celebrava come un semplice sacerdote. La scelta di quel palazzo riguardava pure la sua seconda vocazione, insegnare.

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Stare accanto ai ragazzi, con la sua capacità di latinista e grecista, quali pochi ne erano rimasti in Italia. Cultore dei seminari, attento accompagnatore delle vocazioni, ne sosteneva la necessità del loro rafforzamento e il valore fondamentale per la Chiesa. Anche attraverso la sollecitazione alla loro cura e alla formazione culturale, oltre che teologica e morale dei seminaristi. “ Studiare tanto, pregare tanto, per meglio sentire la Fede e per più fortemente servire il popolo. Non solo quello di Dio, ma tutto il popolo, perché ciascuna persona è figlia del Padre, ciascun essere umano ha diritto ad essere aiutato. In particolare gli ultimi, i poveri e i diseredati e quelli abbandonati. E gli ultimi degli ultimi, gli scarti del mondo ingiusto, i migranti.” Questo, in sintesi, il suo pensiero di uomo giusto, di prete santo. Catanzaro, la Città in generale, tutte quali luoghi della comunità di persone, rappresentavano per Lui il libro del Vangelo. La Bibbia resti pure ai colti, ai cercatori della Verità Assoluta. Il Vangelo, ai costruttori a mani nude, della Pace qui. La Pace, che nasce dal cuore buono e dalla praticata santità, che è presente in ciascuno di noi e che si attiva se diventeremo, attraverso proprio il Vangelo, fratelli e compagni di Gesù. Il Vangelo, per Cantisani uomo aperto a tutte le culture e rispettoso di quella degli atei e degli scettici, era talmente universale da operare anche laicamente, abbracciando e nutrendo il sentimento d’amore che ogni uomo sente per l’altro. L’altro in tutte le sue multiformi diversità. Potrei continuare a dire di questo prete gigantesco, di questo vescovo illuminato, di quest’uomo profondo in sensibilità e cultura, per ore ed ore, e scrivere, qui e ora, decine di pagine. Potrei ripubblicare il “ volume” di articoli che ho scritto per lui anche quand’era in vita, ricevendo con la telefonata o la breve missiva, rigorosamente postale, i suoi ringraziamenti affettuosi con l’affettuso rimprovero di non esagerare nella “ generosità”.

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Potrei, per esempio ricordare che egli è stato il più grande studioso, ed il primo ad averlo riportato in luce, di Cassiodoro, della cui santità fu il primo a proporne il riconoscimento canonico. Da qui mi limito solo a chiedere di pubblicare e diffondere e anche recuperare gli ultimi suoi lavori sul politico di Squillace, delle cui opere aveva quasi completato la faticosissima traduzione. Da qui mi limito a chiedere alla Città di Catanzaro, la sua Città, dalla quale nel 2001 ricevette meritatamente la cittadinanza onoraria, che la sua persona, di vescovo e di cittadino, di uomo di cultura profonda, venga fermamente e perennemente ricordata con l’intitolazione di un luogo importante e significativo. Da qui mi limito a chiedere all’Arcidiocesi, sorprendendomi alquanto di doverlo ripetere, occasioni formali e solenni, culturali e religiose, per ricordare l’illustre Presule, il Vescovo forse più bello della storia della chiesa locale. Quella storia che egli stesso, da profondo cultore e da prete innamorato della sua “ sposa” , ha portato all’attenzione con le numerose opere scritte. Ecco, divulgarle, aprire una discussione intorno ad esse, in particolare sull’intreccio indissolubile tra Chiesa locale e Catanzaro, tra azione dei vescovi e attività della politica, tra fedeli e cittadini, sarebbe opera meritoria di quella che oggi appare stretta collaborazione tra il nuovo Vescovo e il nuovo Sindaco, arrivati quasi contemporaneamente alla guida delle due realtà. Da due anni, il due luglio, per iniziativa della chiesa lucana, di quella “lauriana”, del Comune di Lauria, della famiglia e della Politica, l’altra passione “ evangelica” del nostro “ catanzarese d’onore”, si svolge un importante incontro culturale sulla sua figura. Una figura gigantesca in quel corpo piccolo ed esile. Ecco, da qui chiedo, che anche la sua Città, questa nostra, la sua Chiesa, questa nostra, gli dedichino, insieme magari, nei prossimi anniversari un evento analogo. Lo merita lui, per le grandi cose che ha fatto. Per le bellissime parole che la sua penna fine e il suo eloquio incantevole e affascinante, ci hanno offerto. Lo meritano i fedeli della sua Chiesa e i cittadini tutti, che l’hanno amato riamati. Lo merita la sua Catanzaro, la Città che lui ha difeso con forza e coraggio.

Anche da quella politica, che non poche volte, specialmente nelle due solennità dell’Immacolata e di San Vitaliano, richiamava con rigore. E rimproverava con severità, nel contempo sollecitando i catanzarese ad essere più vigili e più attivi nella vita cittadina. Ché la Politica è l’azione doverosa quotidiana di tutti. Per questo è Bella. Lo strumento più prezioso della Democrazia. Cantisani non ci voleva lasciare. Infatti, non ci ha lasciato. La sua scelta di restare qui per sempre, l’ha mantenuta chiedendo di essere sepolto in Cattedrale. Altro non avrebbe potuto fare che donarci l’unica cosa che della fragilità umana gli restava, il corpo. E qui l’ha lasciato. Sono le dieci, quel tocco di campane lo sento ancora. Adesso è, però, quello del giorno dell’ultimo saluto. Sono campane a festa per chi stava salendo in Cielo, dov’era atteso dal Padre. Era vecchio Antoniuccio bello, come lo chiamavo io, con i suoi 96 anni? Essere vecchi è bellissimo, se, come lui, ci si mantiene in saggezza e brillantezza di pensiero. In amore profondo per tutti, fede intensa per il Padre e per Gesù, fedeltà assoluta alla “ mia sposa”, la Chiesa. Cantisani è stato il mio migliore amico e uno dei miei tre padri indimenticabili. In lui sono immortalati i momenti più importanti della mia vita, da quel pomeriggio del cinque luglio a Perugia fino al pomeriggio di quel del sedici aprile a Taverna, al centro di questo tempo altri due nella San Giovanni di Catanzaro. E chi se li dimentica quei giorni! Come potrei non tenere a mente quelle sue benedicenti e benedette parole. Batteranno in petto fino a quando il mio petto batterà. Come non potrò mai dimenticare le sue ultimissime, dette a me, a Luigi e Sebastian, cui concesse di essere salutato il giorno prima del suo andare: “ non dimenticate mai di battervi, per la Giustizia, la Verità, la Libertà”. Un insegnamento, un monito, un atto di fiducia, una consegna, un affidamento. Una preghiera. Valori e imperativi, cui non verrò mai meno.

  

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