di FRANCO CIMINO
Sergio Dragone, ce lo ricorda e da par suo lo dipinge con parole antiche, sentimenti belli. Ché sono d’amore quelli che si incontrano dalla vita privata nella sfera pubblica. Sergio li riconosce e li tratteggia in quella unitaria di Michelangelo Frisini. Amore per la Politica e per il suo partito, il PSI. Amore per la Città. La sua Città. Quelli di Frisini sono stati tutti autentici. Sinceri. Sfrondati dall’imbroglio delle parole, che è l’ipocrisia. Questo porta diritti a quel valore, oggi quasi del tutto scomparso, che è la lealtà. Frisini era leale.
Lo testimonio da democristiano, che nel suo ruolo diversificato di dirigente, benché ragazzo è molto più giovane, ha avuto di constatarlo direttamente. Per lontananza generazionale e differenza, quasi contrapposta, caratteriale, non siamo mai stati amici o in rapporti di confidenza, lui e io. Ma posso dire di averlo conosciuto, con la mia disturbante capacità di intuizione anche delle persone, di averlo conosciuto abbastanza. E per un democristiano guardingo se non addirittura diffidente verso i socialisti, questo era già imbarazzante. Michelangelo era un uomo leale. Serio. Se dava una parola la rispettava, come gli accordi all’interno dell’Amministrazione comunale, nella quale ha esercitato per molti anni un ruolo di primissimo piano pur non mettendosi mai in primo piano. Neppure nelle foto ufficiali. Lui sempre a lavorare e a rappresentare.
Da assessore all’Urbanistica, negli anni difficili in cui questo settore era attraversato da molte turbolenze, da forti pressioni e da pericolose tentazioni. Anni in cui il tema della gestione del territorio era non solo delicato in sé, per una Città che stentava, per responsabilità delle classi dirigenti, a ripensarsi sapendo tenere insieme il buono dell’esistente e il nuovo da costruire.
Catanzaro, infatti, sconta ancora lo sfregio della speculazione e la mancata visione del suo futuro urbano. O urbanistico, che dir si voglia, benché nella mia accezione i due termini hanno un significato diverso. Il territorio, e il suo controllo, era anche il terreno vero di autentico scontro tra la DC e il PSI. E quello di dura opposizione da parte del PCI, cui i due partiti di governo non hanno mai , per la suddetta divisione e per gli imbarazzanti sensi di colpe storiche, oltre che per il giogo degli interessi ben contrapposti, saputo “opporre” una visione unitaria del nuovo assetto “urbano”.
Michelangelo, per il suo carattere di uomo tranquillo che dava tranquillità, per la sua fine intelligenza politica, per il suo spirito di concretezza, per la sua acquisita competenza, e per la sua personale professionalità di amministratore di società private( Sergio ha ben ricordato quella dei Mancuso) ha sempre saputo mediare tra interessi e posizioni, strategie partitiche, conflitti correntizi al loro interno, e pregiudizi ideologici. Michelangelo ha cercato sempre non di stare in equilibrio, ma di costruire un equilibrio possibile. Non sempre vi è riuscito, e non per responsabilità sua. Ma per colpa delle divisioni laceranti dentro il PSI e la Democrazia Cristiana.
Ed anche per le ben nascoste ipocrisie di quel PCI, che, isolando i suoi migliori uomini, specialmente i giovani che sedevano in quel Consiglio Comunale conducendo battaglie coraggiose e pericolose per la difesa di quel che ancora restava intatto del territorio, sotterraneamente patteggiava un po’ con uno un po’ con l’altro partito. E molto con le correnti interne che li condizionavano. É stato bravo e utile, Michelangelo, molte volte salvando equilibri politici e alleanze obbligatorie, duramente in crisi. Frisini ha ben rappresentato la sua funzione di vicesindaco. Con discrezione e umiltà l’ha rappresentata.
Quella fascia la portava con onore e orgoglio. Talvolta anche con una certa timidezza, quasi che, omone corposo e visibile, si considerasse troppo piccolo rispetto a quel tricolore che gli cingeva i fianchi. E questo perché nella sua natura e cultura vi era fermo un sentimento e un atteggiamento insieme. L’amore per Catanzaro, in quella sua idea nascosta che ne prolungava i confini fino a quella Sila, sopra Taverna, che fu, e forse ancora nostalgicamente lo é, sua. Catanzaro prima di tutto. Anche del suo partito e dei suoi amici-compagni. In particolare, quelli che riconosceva leader e a cui portava affetto e sostegno. E disciplina. E fedeltà di uomo libero. E mai servile. L’atteggiamento derivante dell’educazione. Educazione ricevuta in quella palestra e formatasi dalla sua coscienza. É il rispetto. Verso le istituzioni, innanzitutto.
Tutte, e quella comunale, in particolare, sopravanzano nei confronti di interessi diversi e di ambizioni personali, pur legittime. Rispetto, anche verso le persone. Non ricordo battaglie personali da lui condotte contro e in danno di alcuna mia. Lo capivi da una certo sua ritrosia se un tale gli era più o meno simpatico. Solo di me (magari per colpa anche del mio carattere poco cerimonioso e riluttante alla tecnica cattura persone) non ho mai capito. Ma gli basta, come anche a me è bastato, ciò oggi gli dico. E, cioè, che tutte le parole qui scritte, le ho pensate e altrove dette, sempre. E aggiungo che per il suo modo di stare in questa nostra Città, per la sua educazione e discrezione, per la sua coerenza personale, oggi sento per lui sentimenti di simpatia buona. Quella nutrita da affetto e gratitudine di catanzarese. Auguri Michelangelo, il socialista, per i tuoi novant’anni di vita vera. E che ti siano forieri dei tanti anni che la tua Città ti augura. Ancora di servizio a lei, che ne ha tanto bisogno.
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