Furriolo: "E' tempo di ricucire quella ferita amara tra Catanzaro e Gianni Amelio"

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Gianni Amelio
  15 settembre 2022 18:13

di MARCELLO FURRIOLO

Non finiremo mai di ringraziare Francesco Passafaro per avere ridato “nel centro del centro storico” una grande opportunità ai catanzaresi di godere di un luogo gradevole e ricco di memoria e partecipare, sia pure in modo saltuario, alla programmazione cinematografica nazionale. Impresa eroica, portata avanti con grandi sacrifici anche dagli amici che tengono accese le luci del Supercinema, in una fase in cui pare che il pubblico abbia deciso di abbandonare le sale per soddisfare il piacere del cinema con lo streaming gestito in casa.

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Mentre ancora l’estate ci regala gli ultimi scampoli di sole e si è appena conclusa la 79ma Mostra del Cinema di Venezia, il poliedrico Francesco ci ha offerto l’opportunità, per la verità raccolta da non molti, di assistere all’ultimo bellissimo film di Gianni Amelio, presentato in concorso proprio alla grande kermesse veneziana.

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“Il signore delle formiche”, forse è il film più bello di Amelio. Sicuramente il più sincero e sofferto, come lui stesso ha dichiarato. Perchè affronta con grande coinvolgimento un tema, che sicuramente oggi, per fortuna, non crea forti tensioni sociali e drammi personali, come quelli evocati dalla storia emblematica di Aldo Braibanti nell’Italia degli anni 60. Da questo punto di vista il film di Amelio suscita un interesse di rimando, perchè ci porta a riflettere su come eravamo oltre mezzo secolo fa e quanto cammino di sofferenza, di coraggio e di lotta la società italiana, da poco libera dall’oscurantismo culturale ed etico della dittatura fascista, ha dovuto percorrere per conquistare un livello dignitoso di riconoscimento dei pieni diritti della persona, dell’uso non limitato del proprio corpo e, quindi, degli orientamenti sessuali, affrancati da ogni condizionamento religioso o politico. Un cammino difficile, che ha dovuto affrontare tappe dolorose e sconcertanti come quella appunto della vicenda di Aldo Braibanti, brillante e geniale intellettuale comunista ed ex partigiano, artista, poeta, sceneggiatore, ma anche appassionato mirmecofilo, cioè studioso delle formiche. Che vive una tormentata storia d’amore omosessuale con un suo giovane allievo, contrastata dalla famiglia del ragazzo fino a sottrarlo con la forza dalla casa del professare e sottoporlo a trattamenti di lobotomia, per “curare” quella che veniva considerata, dalla cultura familiare e dall’educazione religiosa del tempo, una grave malattia. Mentre il mite Braibanti viene sottoposto al più sciagurato processo intentato dalla magistratura italiana, addirittura per “plagio”, dal momento che il codice Rocco, tuttora vigente, pur intriso di scorie fasciste, non prevedeva, quantomeno, il reato di “omosessualità”.

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La sentenza, che doveva suscitare la più ampia esecrazione da parte di intellettuali come Umberto Eco, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante e politici come Marco Pannella fu di condanna a nove anni di carcere per il “signore delle formiche”. Pena ridotta a due anni in appello, per riconosciuti meriti acquisiti nella lotta partigiana. Una vicenda che ovviamente suscitò grande scalpore in una società segnata dai grandi fermenti della contestazione giovanile e che ebbe come primo effetto la cancellazione del reato di plagio dal Codice penale. Mentre l’evoluzione dei costumi e il riconoscimento del pieno diritto della persona umana al rispetto dei propri orientamenti sessuali si sa che non si raggiunge attraverso gli articoli dei codici o nelle aule dei tribunali, ma matura con la crescita culturale, civile e politica dei cittadini e delle istituzioni. Ed ecco che della vicenda Braibanti non c’era stata più necessità di discutere. Fino al momento in cui un grande regista come Gianni Amelio non decide che era giunto il momento di aprire il suo animo inquieto ad un viaggio doloroso dentro se stesso, attraverso la storia dell’amore “ maledetto “ di Aldo Braibanti e Giovanni Sanfratello, nel film Ettore. Perchè il film di Amelio è, sopratutto, la storia dolente di un grande amore contrastato dagli uomini e dalla società, ancora preda del pregiudizio e dei tabù culturali principalmente legati ai costumi sessuali, così come predicati dalla Chiesa cattolica. E sicuramente non vuole essere solo un atto di denuncia, ma una sincera e angosciosa ricerca di tanti perchè non sempre la forza dell’ amore prevale sugli egoismi anche di tipo familiare e sulle gabbie delle convenzioni. E Amelio trasferisce nelle angosce, ma anche nelle debolezze di Aldo Braibanti la sua disperata ricerca di amore incompiuto e frustrato dalle oppressioni della morale convenzionale e ambientali.

Gianni Amelio si conferma uno dei Maestri indiscussi del cinema per la sua capacità di raccontare i sentimenti, creando poesia anche nei fatti più normali e puramente funzionali al racconto. “Il signore delle formiche” sarebbe stato un vero capolavoro se Amelio non si fosse totalmente identificato nel storia d’amore di Aldo e Ettore, rinunciando a legarla pienamente alle insofferenze e alle contraddizioni sociali, politiche e culturali di quegli anni. E finisce per rendere quasi caricaturali le figure di contorno come i genitori di Ettore, l’avvocato difensore di Aldo, il Pubblico Ministero e il Presidente del Tribunale.

Quasi a volerli indicare con disprezzo al giudizio del pubblico, simbolicamente espressione della incapacità della società di capire “la purezza” di quell’amore. Mentre si esaltano le interpretazioni dei protagonisti Luigi Lo Cascio e del giovane Leonardo Maltese, per la prima volta sullo schermo, a fianco ad uno straordinario Elio Germano, che descrive in maniera perfetta la figura, del tutto inventata, del cronista dell’Unità, che cerca di andare a fondo sulla vicenda Braibanti, espressione di un giornalismo libero e culturalmente evoluto, che forse mal si concilia con il bigottismo ortodosso del vecchio Partito Comunista. Amelio rende un chiaro e generoso omaggio ai grandi maestri di culto, come Pasolini, Bertolucci, Bellocchio e Sorrentino.

Nel film, infine, non poteva mancare l’esplicito richiamo alla amata/odiata Catanzaro. Anzi mi sentirei di dire che Amelio stavolta non fa amarcord con le immagini a cielo aperto del vecchio Politeama, ma quasi si “vendica” delle incomprensioni della città nei suoi confronti, inventando il personaggio di un giovane avvocato originario proprio di Catanzaro, che sostiene che “gli omosessuali o si curano o è meglio che si suicidino”. Espressione agghiacciante di cui Amelio ricorda di essere stato indirettamente destinatario proprio nella sua angosciante stagione giovanile catanzarese.

Eppure Gianni Amelio ha regalato alla città parte importante del suo ingegno, della sua grande sensibilità artistica e culturale negli anni del Liceo Galluppi e della straordinaria comune esperienza del Circolo Gobetti e del periodico Il Manifesto. Poi qualcosa si è rotto definitivamente e a più riprese abbiamo cercato con il Sindaco Rosario Olivo di riannodare il filo prezioso con la città, chiamandolo a ricoprire i ruoli più importanti alla guida del Politeama e proponendogli anche la regia teatrale di una grande Opera Lirica. Forse i tempi non erano ancora maturi.

Oggi potrebbe essere il tempo della ricucitura di una ferita amara e far rinascere un amore maturo, ma non meno intenso e profondo con questa terra, che lo annovera tra i suoi figli migliori. e avrebbe tanto bisogno della sua arte e della sua poesia.   

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