di MARCELLO FURRIOLO
Quando muore un grande Architetto la terra diventa più piccola. La città diventa più povera. La pianta della fantasia si inaridisce. Con la morte di Franco Zagari Catanzaro diventa più piccola, più povera, la sua voglia di sognare si sperde nel vuoto.
Perchè Franco Zagari ha saputo dare alla città una dimensione urbana, civile e culturale assolutamente innovative, sconvolgendo tutti i retaggi di provincialismo e collocando Catanzaro al centro del dibattito artistico e urbanistico internazionale, alla fine degli anni 80 e fino al 1992 del secolo scorso. Quando la stampa specializzata definiva la città di Catanzaro “ un caso unico e un grande laboratorio dell’architettura moderna”. In considerazione della grande progettualità che vedeva impegnati, oltre a Franco e al compianto Gianfranco Spagnesi i più grandi nomi dell’architettura e dell’arte moderna, da Portoghesi a Fuksas, a Carlo Aymonino, a Marco Zanuso, a Gabetti e Isola, a Massimo D’Alessandro e Mario Schifano. Nomi che hanno fatto la storia della cultura italiana del ventesimo secolo, ma che forse risultano estranei alle agende dell’attuale classe politica e dirigente.
Sono stati gli anni in cui con il visionario disegno della Variante Spagnesi si progettava la “Grande Catanzaro”, che non era uno slogan elettoralistico, destinato a infrangersi sulle sponde del Corace, ma nasceva dal ruolo percepito e riconosciuto di Capoluogo di regione, che si poneva al servizio dell’intera area strategica al centro della Calabria, dallo Jonio al Tirreno, lungo l’asse portante Catanzaro - Lamezia.
Sono passati oltre trent’anni e di tutto questo rimangono sicuramente, oltre alle opere del grande Saul Greco, alcune testimonianze importanti, l’ Università, la Cittadella regionale, il Politeama, il San Giovanni, la Funicolare, la Piazza Matteotti.
Già la Piazza...
Franco Zagari a Catanzaro è ricordato come il progettista controverso della Piazza e, sopratutto della contestata Scala, poi ridimensionata nel linguaggio comune in Scaletta. Nella realtà Franco Zagari, che verrà ricordato come uno dei più grandi architetti paesaggisti europei, il cui archivio di progetti è stato di recente acquisito nel patrimonio della Facoltà di Architettura di Venezia, ha legato il suo nome assieme a Gianfranco Spagnesi alla redazione della Variante Generale al PRG. Che se l’ottusità di una certa opposizione di sinistra che, all’epoca si fece interprete di fatto degli interessi della grande proprietà immobiliare, non l’avesse bloccata fino alla definitiva pronuncia della Giustizia Amministrativa, che ne ha riconosciuto la validità quando ormai erano mutate le condizioni politiche alla guida della città, oggi la città avrebbe un diverso assetto urbano e si sarebbe salvaguardato il territorio dall’assalto indiscriminato della speculazione edilizia. Franco è stato anche il primo redattore dei Piani di Recupero del centro storico, che all’epoca coinvolsero le migliori professionalità locali in un progetto di risanamento e recupero del grande patrimonio edilizio e paesaggistico della città, purtroppo non più ripreso dalle successive amministrazioni.
Franco, a cui, assieme all’amico assessore all’Urbanistica Michele Frisini, avevamo affidato il compito di ridisegnare pezzi o “brani di città”, lasciandogli “carta bianca” , dispiegò il massimo della sua raffinata sensibilità e della libera lettura dello spazio affidatogli, raccogliendo pienamente le suggestioni presenti anche nelle testimonianze di opere dell’architettura razionalista concepite dalla Scuola della Bauhaus, come il Grande Albergo Moderno e Villa Cafasi. Il risultato fu un’opera celebrata da tutta la critica di settore, non apprezzata da molta parte dell’opinione pubblica catanzarese, sopratutto per l’ardita scala triangolare rivolta verso il cielo. Come rammenta lo stesso Sindaco Fiorita nel suo onesto ricordo. “Un progetto non riuscito” sostiene Isidoro Pennisi, ma sicuramente capace di fare “ battere il cuore”. In effetti, come succede per i grandi poeti o gli artisti alla continua ricerca dell’assoluto esistenziale, si tratta di “un progetto non concluso” .
Il vento della falsa rivoluzione di Tangentopoli con l’annientamento delle maggiori forze politiche, DC e PSI, doveva investire anche Catanzaro, che si avviava alla progressiva cancellazione della memoria dell’ultima stagione di autentico risveglio politico, culturale e sociale della città. E il simbolo di questa restaurazione populista le amministrazioni dell’ultimo trentennio l’hanno miseramente individuato proprio nella Piazza Matteotti e nella “incolpevole” Scala disegnata da Franco Zagari. La cui demolizione è stata portata, sopratutto dall’ Amministrazione Abramo, come il trofeo della nuova cultura di governo.
Peccato che a questo perverso disegno si sia piegato, sicuramente obtorto collo, il mio carissimo amico Franco Zagari, prostrato dalla sua infinita signorilità ed educazione. E dalle mille titubanze, che non sono riuscito a fargli superare, anche quando sosteneva, sulla scia del maestro dell’architettura giapponese Fumihiko Maki: “E‘ brutta? Forse, ma ha una sua coerenza estetica che forse osservatori lontani e neutrali hanno potuto meglio evidenziare. Demolirla? Non sarebbe una debolezza? La mia scelta di intervenire sulla scaletta mantenendo la struttura e riconfigurandola è allo stesso tempo la riaffermazione di un principio e il desiderio di una revisione stilistica”. Altri tempi ! Purtroppo l’arroganza frammista all’incultura di una certa classe politica non ha concesso a Franco Zagari neanche l’onore delle armi. Il nuovo giardino dei ciliegi immaginato da Franco, forse come memoria della sua fanciullezza, come scrive ancora Isidoro Pennisi, sulla Piazza, su cui negli anni 50 volse lo sguardo maliante la splendida Ingrid Bergman dal terrazzo dell’Albergo Moderno, è stata lasciata al totale abbandono e incuria da parte del Comune, come traspare anche dalle parole di Nando Gabellini, fedele amico di Franco e valente Direttore dei Lavori. Degrado voluto e frutto di un preciso disegno di “cancel culture” della politica populista di questi anni, sostengo io.
Nei nostri stimolanti colloqui e nei sostenuti scambi epistolari di questi ultimi anni abbiamo avuto modo non solo di ripercorrere l’esaltante condivisione di mille idee e mille ragionamenti sull’arte, sul cinema, sulla letteratura, ma anche sull’urbanistica e l’architettura. Ma sopratutto sulla città di Catanzaro, che avevamo immaginato capofila di un Nuovo Rinascimento che doveva coinvolgere l’intera Calabria, in forza della sua bellezza e della sua storia. Quante volte, cercando di dare risposte a quanti non condividevano le nostre scelte, dalla Piazza al San Giovanni al Politeama, abbiamo parlato di ”contesto”, argomento notoriamente abusato da quanti ritengono che un qualsiasi intervento architettonico e, quindi artistico, debba tener conto e quindi necessariamente sposarsi al contesto urbano, in cui va ad inserirsi. E‘ evidente che si tratta di una concezione retrò e conservativa, superata abbondantemente da tutta la storia dell’arte e dell’architettura, per il fatto che il linguaggio dell’arte ha diversi e svariati piani e modalità di comunicazione con il contesto, anche in termini di rottura. L’altro corno di questo ragionamento è quello che va maturando oggi, allorchè una parte della critica ritiene che nella progettazione delle città bisognerebbe ritornare all‘ “archilocal” piuttosto che ricorrere all‘ “archistar”.
Mi mancheranno molto questi impegnativi stimoli e ragionamenti, che animavano la nostra dialettica umana e culturale, sopratutto quando ricercavamo soluzioni condivise per immaginare un futuro per questa città. E tutto si risolveva parlando di Casablanca, Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, Nanni Moretti e Margherita Buy, “Pulp Fiction” e “Bastardi senza gloria” dell’adorato Quentin Tarantino, ma anche del finale di Peppuccio Tornatore in “Nuovo Cinema Paradiso”.
In fondo caro Franco, anche noi abbiamo immaginato di poter realizzare proprio a Catanzaro, insieme a Spagnesi, Aymonino, D’Alessandro, Fuksas, Zanuso, Gabetti e Isola e Portoghesi il sogno della “città disegnata” piuttosto che la città violentata.
Mi mancherai.
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