di FELICE FORESTA
Ho sempre amato il greco. Lo considero la lingua dell’anima e del mito. E proprio al mito, mi perdoneranno i docenti se ne farò un uso improprio, attingo per non sopprimere una necessità che, da qualche giorno, fa il periplo della mia di anima.
Augia, se le mie reminiscenze liceali hanno ancora una venatura di fondamento, era una figura mitologica. Mi pare fosse un re, e che avesse tanti animali.
Che, a motivo dell’inerzia del loro proprietario, refrattario a pulire le stalle, giacevano tra il letame e il suo tanfo. A tal punto che il cielo, si raccontava, fosse oscurato dalle orde di mosche attratte dal lordume.
Il cielo, però, è grande - aggiungo io - e per quanto possano essere numerose e prolifiche le mosche, un pezzo, anche piccolo, rimane intonso. Forse, caro Augias, Lei che è intellettuale raffinato e a tutto tondo, se fosse stato un po’ più accorto, non sarebbe caduto nella trama oscura dei luoghi comuni.
Quelli che, indegnamente, a me preme divellere scomodando il mito. Perché è vero che in Calabria ci sia l’ombra della sporcizia, e nessuno lo nega. Come nessuno può negare che analoga sozzura sia stata scoperta nella sanità meneghina o tra le pieghe di Roma capitale. È vero, però, che grazie al cielo - e torniamo lì - in Calabria c’è tanta brava gente. Che, fra mille fatiche, vive e insegna ai propri figli a vivere onestamente. Senza tanti clamori, e senza vetrine. Che, però, ha il vezzo magnogreco, forse, di discernere. Anche le amenità che, mi consente, hanno cittadinanza nel suo pezzo del tipo: “La Calabria, però, non è una terra normale, è una regione dove la criminalità coincide spesso con la restante società e anche con le istituzioni”. Che, se così fosse, si dovrebbe immaginare che anche il senatore Morra, dalle cui affermazioni lei ha preso spunto, essendo stato eletto in Calabria, avrebbe anch’egli goduto dei voti di quella restante società da lei bollata. E, per quanto non nutra grande simpatia verso il senatore Morra, francamente io non lo credo affatto.
Caro Augias, non l’ammorberò declinando le bellezze della Calabria, nè i suoi interpreti che in tutti i campi si sono fatti e si fanno valere. Non voglio essere io a cadere nella trappola delle suggestioni. No. Le dico che la Calabria è e, comunque, vuole sforzarsi di essere una terra normale. Quella che merita rispetto e non una lettura approssimata. Quella che una rispolverata del mito aiuta a vedere. Soprattutto, se il confine del mito con il nostro nome è solo una esse.
Mi scuso, con me stesso, se ho chiosato il suo pezzo in ritardo. Ma un altro mito, quello che oggi tutti i Sud del mondo stanno ancora piangendo, mi ha distolto. Maradona però, converrà, meritava di più del suo tackle sulla mia terra. Che, mi creda, è riuscito male. E tanto.
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