di GALILEO VIOLINI
È à la page attaccare chi, approfittando della libertà di critica, osi respingere l’alternativa manichea “con Putin o con la NATO” che pretende appiattire, con una logica a due valori, la complessità, negata dalla storia, di quanto sta accadendo in Ucraina. Basterebbe per riconoscerla riflettere sul fatto che il filorusso Janukovyc fu sconfitto nel 2004 e vinse le controverse elezioni del 2010 con il 44 e 48% dei voti, rispettivamente.
Mi sento come uno dei destinatari di quegli attacchi, anche se, protetto dalla diffusione regionale delle mie considerazioni, e, soprattutto, dallo scudo dell’esistenza di bersagli nazionali ben più noti e visibili, il collega físico Rovelli, un grecista illustre come Canfora, un Francesco Barca (político di grande spessore, nonostante qualcuno lo qualifichi come un “mite professore”), quegli attacchi non mi toccano.
Pur tacendo che essi si fanno beffe dell’art.21 della nostra Costituzione, non posso esimermi dall’analizzarne alcuni, che sembrano scritti da epigoni di Appelius.
L’artificio retorico su cui si basano è semplice, un po’ da Minculpop, ma di funzionamento garantito dal teorico nazista della propaganda. Senza scomodare lo sgradevole ricordo di Goebbels, essi paiono di saggezza partenopea. Fare ammuina è ricetta sicura dall’efficacia garantita.
E che altro che ammuina è confondere le motivazioni eterogenee di quei critici di eterogenea estrazione: veterocomunismo, accompagnato in alcuni dalla nostalgia dell’URSS e in altri da un internazionalismo trotzkista, pacifismo, analisi di quanto la política della NATO abbia contribuito a creare le condizioni che hanno reso possibile l’invasione?. Cocktail cui si aggiunge una propaganda attiva, che fa leva sulle tragedie individuali e collettive, e sul pathos, come nel caso della foto della bambina col fucile e il leccalecca.
Ricordate la bambina dal cappotto rosso del Lista di Schindler? La bambina col fucile inoltre mi fa venire in mente altri bambini, quelli tedeschi non certo quelli della Hitlerjugend ma degli ultimi giorni di guerra, o i bambini-soldato, pratica che l’UNICEF respinge. Mai dei bambini dovrebbero essere coinvolti in una guerra, però creare un’atmosfera da piccola vedetta lombarda non guasta.
Guai se qualcuno, come Canfora o Rovelli, si azzarda a ricordare altre tragedie o le bombe che hanno ucciso altri bambini in Yemen, Afghanistan, Iraq, Libia, VietNam. O ricorda che in Viet Nam si usò il Napalm o l'invenzione del Golfo del Tonchino, o quella per l’Iraq delle armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein, per altro amico quando, anni prima, usava le armi chimiche contro gli iraniani e i kurdi. Non c´entrano nulla col caso in esame, a meno che confronti improbabili non li facciano i difensori della NATO.
Esempio ne è l’incipit di un articolo di Cappellini su La Repubblica (in cui usa nove volte la parola stupidità, o l’aggettivo stupido per chi come noi è, secondo il neologismo alla moda, né-né). Che c’entra uno stupido manifesto antisionista di undici anni fa con il problema attuale? Sarebbe come se un ebreo appoggiasse Putin, perché in una piazza di Kiev troneggia un monumento a Bogdan Chmelnicki, l’ataman delle stragi del XVII secolo, o per il collaborazionismo ucraino nelle persecuzioni della Shoah e nei campi di sterminio. Con una giravolta logica questa “analogia” gli permette negare la complessità del problema ucraino e dire che parlare di “espansionismo NATO” equivale a parlare di ”occupazione israeliana”. L’argomento mi pare stupido, la differenza tra le due situazioni dovrebbe essere chiara, ma non starò qui a spiegarla. Articolo da leggere comunque, ne ha per tutti, riesce a tirare in ballo persino la sharia e le donne palestinesi, altro problema, mi scusi l’autore, complesso, sia all’interno dei movimenti palestinesi che, più in generale, dei paesi islamici, e che non dovrebbe essere sovrasemplificato. Beato lui che capisce la struttura di tutti questi problemi al netto della loro sovrastruttura (banale citazione di Marx, la sua, ma fa fino), mentre noi stupidi, accomunati, chissà perché, ai terrapiattisti, ci perdiamo nel sezionare sottili aspetti sovrastrutturali.
Ma c’è di meglio, un ex marxista-leninista e poi ex comunista, se la sua biografia in Wikipedia non mente, afferma di aver capito e ci spiega il piano dei nostalgici putiniani, portare l’Italia nel campo di Mosca. Con dubbio gusto, cita una delle frasi preferite della narrativa di destra della nostra storia. “Noi italiani non finiamo mai una guerra dalla parte dove l’abbiamo cominciata”. È vero, la derubrica a pregiudizio, ma non pare infastidito dal trovarsi in compagnia con i nostalgici repubblichini. Né d’altra parte mi risulta che siamo in guerra, ma forse a lui sembra di sì.
Anche in questo articolo c´è di tutto, chi non è con la NATO non crederebbe allo sbarco sulla Luna, alle Torri gemelle, alle bare di Bergamo, considera il Green Pass una violazione della libertà. Analogie con il pensiero dei né-né, qualunque ne sia la motivazione, che vede solo lui, ma sono presentate con sicumera. La loro, ovvia, confutazione non può che condurre a essere con la NATO. Il problema è grave. Il pericoloso movimiento che condurrà il nostro paese è in tremenda crescita, afferma il nostro, e, a conferma, menziona una ricerca di Reputation Science. La ho verificata. L’onda italiana dell’”Io sto con Putin” è un autentico tsunami: “3.800 contenuti e 2.000 utenti unici, e 1.200 post (esclusi i retweet) oltre risultati e 389 autori unici” e “2.074 mi piace e 436 condivisioni” per un tweet contro Di Maio.
I russi sanno fare di meglio. Alcune settimane fa, in un Webinar del Foro Abierto de Ciencias LatinoAmérica y Caribe, CILAC, il professor Carlo Pietrobelli, di Roma3 e UNUMERIT, l’Istituto di Ricerca Economica e Sociale di Maastricht dell’Università delle Nazioni Unite menzionò che nella campagna presidenziale americana del 2016, venti fake news furono lette da dieci milioni di persone, e la più spettacolare di esse, che affermava che papa Francesco sosteneva la candidatura di Trump, da un milione.
L’Italia nell’orbita di Mosca pare quindi solamente una minaccia per spaventare, come quelle del ’48 o del ’22, e possiamo andare tranquilamente a Piazza San Pietro, certi di trovarvi le Guardie svizzere e non i colbacchi russi che mangeranno i nostri bambini. Un’analisi corretta di quell’articolo è innegabile riguardo alcune conseguenze che si cominciano a registrare, ma concluderne attribuendo a chi non è con la NATO la credenza che la soluzione sia cedere a Putin è arbitrario.
Da un tale analista ci si potrebbe aspettare un suggerimento breaktrough, ma, ahimé, si limita (altra indulgenza ad altra epoca, ricorda la fiducia del senatore Crispolti nella saggezza del duce quando votò in Senato le leggi razziali), a confidare che “il nostro Governo, — insieme a quelli dell’Europa, eviti questo corto circuito, mettendo in campo le idee e le risorse necessarie per aiutare tutti a resistere invece che arrendersi: perché nessuno sia tentato di scambiare la libertà altrui con il proprio benessere”. Il presidente Draghi farà certamente tesoro di tale profondo suggerimento, non accompagnato purtroppo da credibili proposte concrete.
Potrei continuare e, non polemizzare, poiché polemizzare non si può con chi pare uscito da una favola di Esopo, attribuendo a chi la pensa diversamente, idee che poi attaccherà, ma non ne vale la pena.
Né io, né i molti stupidi che, senza appoggiare Putin, non ci rifiutiamo di analizzare come si sia giunti a questa situazione, pensiamo che l’unica soluzione possibile l’asservimento dell’Ucraina. Gli esiti possibili sono molti, ma, per una volta, sto con Kissinger e spero che la finlandizzazione del paese sia ancora possibile, che la NATO sia un’alleanza difensiva e che i problemi territoriali trovino una soluzione ragionevole.
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