di SETTIMIO PAONE
Anche quest’anno, la cittadina ionica calabrese ha tributato una partecipazione straordinaria ai festeggiamenti in onore di San Innocenzo Martire, il giovane protettore del paese. Una festa sentita, vissuta con profonda devozione e spirito di comunità, che ha visto le vie del centro storico affollarsi di fedeli, pellegrini e cittadini legati da un’unica fede, un unico cuore, una memoria condivisa.
A rendere ancora più significativa la processione, già di per sé molto partecipata, è stata la scelta di rievocare l’antica tradizione: portare in corteo tutti i santi maschi presenti nella parrocchia, così come si faceva un tempo. Un tuffo nel passato che ha reso l'evento non solo religioso, ma anche identitario, culturale, affettivo. Un modo per dire che la tradizione, quando è viva, non ha bisogno di essere reinventata.
A credere fortemente in questo ritorno alle radici è Don Alessandro Iannuzzi, giovane parroco che sta ridando luce e vitalità alla comunità parrocchiale. In un tempo in cui altrove si tende a edulcorare, nascondere o peggio ignorare le tradizioni – come se fossero un peso – Don Alessandro va alla ricerca della storia per valorizzarla, per mostrarne l’anima profonda e potente.
Perché la fede è anche memoria, ed è proprio nella memoria che Gasperina ha trovato, ancora una volta, la forza di camminare unita. Il merito di questo parroco sta nell’aver saputo restituire entusiasmo, nel non aver reso la Chiesa un luogo triste o elitario, ma una casa per tutti, in cui la liturgia è viva, partecipata, animata da canti, preghiere, sorrisi e coinvolgimento autentico.
Non servono animatori “importati” da fuori, né grandi palchi o effetti speciali: basta una comunità vera, guidata da un parroco che sa comunicare con il cuore e con la parola. Ed è quello che è accaduto in questi giorni: una festa bella, autentica, radicata nel tessuto storico e spirituale del paese, esempio virtuoso di come si dovrebbe amministrare una parrocchia oggi.
La festa in onore di San Innocenzo, il giovane martire, non è solo una ricorrenza religiosa, ma una dichiarazione d’identità, un atto d’amore per Gasperina e per quella Calabria che troppo spesso dimentica il suo valore. Invece, come ci ricorda Don Alessandro, basta guardare al passato con occhi nuovi per scoprire che non serve copiare le tradizioni altrui, ma riscoprire le proprie, custodirle, viverle e tramandarle.
Che ci siano tanti Don Alessandro in giro, è l’augurio che facciamo: perché la Calabria ha bisogno di testimoni veri, di pastori che non abbiano paura di essere guida, presenza, seme di bellezza. E noi calabresi, di questa bellezza, dobbiamo tornare a essere fieri.
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