di GIOVANNA BERGANTIN
Un settembre da ricordare. Almeno per i vigneti soleggiati e allineati su ondeggianti terrazzamenti dell’Azienda “G.R. Macrì”, in Contrada Modi, nella suggestiva cornice del borgo di Gerace, sullo Jonio reggino. Come ci assicura Francesco Macrì, durante un tour in fuoristrada che ci inerpica a zig zag tra vigne di Mantonico, Inzolia, Nerello calabrese e Greco nero e bianco, su dolci declivi prospicienti il mare.
L’emozionante giro, tra una nuvola di verdi pampini e grappoli colorati, ci porta all’interno dei filari, su e giù tra casolari e ville dismesse alla scoperta di dolci crinali che, altezzosi, espongono al sole le loro viti rigogliose. Il percorso sterrato che passa tra i filari, disegnato per i mezzi agricoli e nascosto tra le foglie, dischiude improvvisi orizzonti dagli ampi spazi con vista oltre il mare. Le ripide discese danno il turno a irte salite che congiungono infine con la strada asfaltata.
Le vigne di Pozzello sotto Gerace
Completa l’itinerario una pausa ristoratrice, divertente e panoramica tra una natura armoniosa fatta di verdi uliveti e agrumeti, intervallati da recinti con piccoli maialini neri d’Aspromonte, cavalli e asini pasturanti, pecore e capre e, poi, arnie coloratissime, prima della via delle stalle e della cantina, nel cuore del villaggio - Azienda Modi. Quasi un safari. Per un pranzo con degustazione di tutte le produzioni bio e di stagione si sosta all’agriturismo aziendale. Un’antica dimora di famiglia ristrutturata con ampio porticato dove la cucina diventa raffinata interprete della tradizione locale. Per chi intendesse pernottare, accanto un B&B confort con piscina. Ecco la meta autunnale che concilia perfettamente paesaggio e gusto.
L’Azienda agricola “Barone G. R. Macrì” è nata nel 1991 con un’estensione di oltre 500 ettari disseminati di uliveti, vigneti, agrumeti, serre e seminativi e antichi fabbricati ricadenti nei comuni di Locri, Portigliola, Gerace e Antonimina. Vasta proprietà terriera che gli eredi del barone Giuseppe Raffaele Macrì, invece di dividere, hanno mantenuto unita e rimessa in produzione con metodi moderni.
”I grappoli di questi vigneti autoctoni, reimpiantati nel 2003, – spiega Francesco Macrì - portano in dote al futuro “Terre di Gerace” un corredo aromatico di prim'ordine”. Nel paesaggio collinare a gradoni, i vitigni abbarbicati al suolo calcareo- tufaceo, restituiscono carattere e personalità ai vini. “Produciamo 30 mila bottiglie di rosso, bianco e rosato con 6 etichette, su 11 ettari e l’autorizzazione per altri 7 ettari e mezzo. – specifica Macrì -Abbiamo una linea speciale con un passito e un seppur giovane, ma pluripremiato, spumante bianco e rosé “Centocamere”, dal nome della più antica zona di produzione del vino, a Portigliola, nell’area archeologica”.
Dal Barone Macrì ogni angolo riporta alla storia dell’agricoltura più antica di questa Regione perciò siamo curiosi di sapere cosa è cambiato nell’arte del vino dai tempi dei suoi avi.
“I vigneti come gli agrumeti non venivano dati a fittavoli o mezzadri, ma erano gestiti direttamente dal Barone – ci racconta Peppe Fragomeni, giovane manager dell’Azienda, profondo conoscitore di queste terre, dove inizia a lavorarci nel ’99, appena ventenne, seguendo le orme del nonno, ultimo fattore del Barone – per le operazioni di lavorazione, dirette dal fattore, si salariavano i coloni che per ricompensa sceglievano tra paga e prodotto. Vi erano 33 ettari vitati, a Portigliola, nella zona di Centocamere. Era principalmente vino rosso perché il bianco durava poco. Si conservava in enormi botti all’interno della cantina - la più grande del territorio - che aveva un cortile con un boschetto dove entravano direttamente le imbarcazioni per mettere a bordo le botti di vino e altri prodotti diretti all’estero. Dopo l’esproprio di quella che è diventata zona archeologica, rimasero 8 ettari e il Barone produceva solo per la famiglia” .
La vendemmia a Convertire di Greco bianco
Ma come è cambiata la vigna da allora? “ Prima in un ettaro di vigna entravano 10 mila piante, il classico impianto ‘sesto ad alberello calabrese’, lavorazione manuale e bassa produzione – elenca spedito Fragomeni le differenze e le novità - La vendemmia si effettuava ad ottobre con uve ad alto contenuto di zucchero perché l’alcool elevato consentiva una più lunga conservazione. Si pigiava nei palmenti e il mosto si lasciava fermentare per tre giorni, poi entrava nelle botti per completare la sua trasformazione ed essere assaggiato a S. Martino”.
Tralci di greco nero
I vitigni biologici attuali con allevamenti a spalliera sorgono in collina su terrazzamenti fronte mare. Sono ben distanziati per il passaggio dei mezzi agricoli e monitorati tutto l’anno da tecnici che li seguono.
“La vendemmia avviene sempre a mano perché l’uva deve essere ben soda, ma vi è molta innovazione con tecniche moderne - racconta Fragomeni – Già a settembre si è effettuata la raccolta e utilizziamo il processo di criomacerazione per preservarne i profumi. Nella cantina nuova, molto più piccola ma tecnologicamente molto avanzata, abbiamo un laboratorio interno dove si effettuano tutte le analisi”.
E intanto Francesco Macrì, riconfermato presidente del Gal Terre Locridee, oltre ad aver ripreso gli antichi e nobili vitigni della zona, per la gioia di enoturisti, aspiranti sommelier e degustatori, intende arrivare a produrre 100 mila bottiglie tra vino e spumante.
Lo spumante “Centocamere”
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