di MAURIZIO ALFANO
Se la memoria non mi inganna, i suoi ricordi mi riportano alla mente quello che ho vissuto appena varcato quella soglia. Tutto appare subito, come una ferita la cui cicatrice indelebile nella storia, non riuscirà mai, così come non deve, offuscare il ricordo e la testimonianza della morte di milioni di donne, bambini e uomini soppressi nel nome della razza e delle sue presunte e ridicole gerarchie. Per questo il museo dello Yad Vashem mi arriva addosso come una frustata quasi ad inghiottirmi per farmi conoscere il dolore dei vivi e con loro, il dolore per i loro morti nell’inumana tragedia che ha segnato la vita degli Ebrei forse per sempre. Luogo principe della Memoria non può e non deve abdicare mai alla sua primigenia funzione di testimonianza, soprattutto in un delicato momento come quello attuale. Un momento intriso da strani istinti e da istanti di violenze orribili diluite in rigurgiti razziali che tendono a dividere di nuovo il mondo scaraventandolo in pericolose prese di posizioni che sconfinano addirittura nel negazionismo dell’orrore che ora io qui sto vivendo, nonostante il poco tempo che ci separi da quello che vedo.
Ho volutamente atteso che le emozioni vissute si temperassero affinché potessi ripartire da queste non condizionato dall’emotività dei primi giorni dopo il distacco, ma viceversa motivato da quello che rimane di questa esperienza, mesi e mesi dopo la sua conclusione. Pertanto aggiungere tempo, spazio, e nuove cose tra queste rinnovate emozioni e la fine delle attività in Israele è una scelta cercata e voluta per una maggiore e più puntuale testimonianza verso le persone a qualunque titolo coinvolte nella nostra straordinaria, seppur breve, ma intensa esperienza di viaggio nei luoghi della Memoria.
Rientrando nel museo, è la guida che prende in mano il gioco delle emozioni che si sviluppano, affollano e si incalzano a vicenda tanto da lasciarmi senza fiato nel ritmo incessante delle immagini che compongono il puzzle di una delle pagine più buie ed atroci della nostra storia. Costa fatica questo esercizio di ravvivare la memoria nel nostro tempo che si nutre di attimi sempre più minimi e dove l’istante precedente è già consunto, e dove chi domina le nostre emozioni nelle varie sale del museo finisce per perdersi nel rinnovato oblio del dolore e lasciarsi andare a lacrime che incorniceranno le sue parole come in un quadro, da tenere sempre appeso sulla parete della memoria collettiva.
Così come, nella memoria, mi rimane addosso il nome della piccola Velerie morta in un campo di concentramento insieme ad un milione e mezzo di bambini come lei. Può la furia umana essere così cieca e violenta? Può mi chiedo l’assurda presunzione di superiorità, inesistente in fatto ed in natura concepire azioni e odi così violenti da sterminare i sorrisi di milioni di piccoli bambini rei solo di essere venuti al mondo? Questo viaggio mi dà, purtroppo, la triste risposta, ma anche la speranza che ciò possa essere solo un ricordo, da tenere bene impresso nella memoria con i luoghi dello sterminio acquisiti come patrimonio dell’umanità a monito futuro. Spesso l’uomo e l’azione reiterata dei suoi vizi capitali, produce l’altro che è in noi, quello che già Aristotele definiva gli abiti del male, ovvero il ripetersi convulsivo di vizi che insieme mettono in moto la macchina dell’orrore e della paura. Il secolo appena trascorso è stato schiacciato da questo urto, e questo viaggio mi restituisce la paura di un popolo, quello israeliano sempre preoccupato per la sua stessa esistenza che per questo nel suo cammino costruisce muri, semina armi, mentre ora è il tempo della distruzione delle barriere e dello sminamento dell’odio e del rancore.
Questo viaggio mi restituisce però chiara anche un’altra sensazione, di come sia facile, ma anche offensivo percorrere le scorciatoie della storia, i luoghi comuni e gli stereotipi a tale scopo veicolati con una facilità impressionante da risultare arroganti nei confronti di un popolo più volte sterminato, nei campi di sterminio così come nei campi del linguaggio e dei pregiudizi. Tante le sofferenze che come frustate qui, in questo posto, si sono impresse sulla mia schiena, segnalando il solco profondo dentro il quale si può sempre precipitare. Ma la resistenza degli altri, arabi, palestinesi e ebrei mi ha indicato la via da percorrere per uscire da quello che semplicemente appare. Questo ho imparato, ho percepito e sofferto in questo viaggio che io ora devo continuare per dare senso a un percorso oramai, per me iniziato, contro il fatale convivio dei luoghi comuni.
Ma è altrettanto un luogo comune la generica malvagità dei palestinesi sintesi approssimata anche questa, di anni di logoranti restrizioni e costrizioni non più tollerabili e verso le quali la coscienza dei popoli reclama ogni cessazione per ordire la pace, e non tramare la guerra. È arrivato però il momento del distacco, devo salutare ancora una volta tutti i bambini che ho incontrato in questo viaggio nella memoria, nei suk come per le strade, nelle moschee, nelle chiese come nelle sinagoghe, con i quali, come sempre, ho giocato e schernito i grandi, per le loro idee piccole. Loro, i bambini di questo fantastico girotondo di religioni sono stati come sempre i mie occhi, perché ancora una volta ho visto e imparato le cose attraverso i loro di occhi. Questa neonata moltitudine è semplicemente disarmante per la luce che riesce a diffondere nel dissolvere ogni foschia negazionista che ancora si staglia all’orizzonte.
Testata giornalistica registrata presso il tribunale di Catanzaro n. 4 del Registro Stampa del 05/07/2019.
Direttore responsabile: Enzo Cosentino. Direttore editoriale: Stefania Papaleo.
Redazione centrale: Via Cardatori, 9 88100 Catanzaro (CZ).
LaNuovaCalabria | P.Iva 03698240797
Service Provider Aruba S.p.a.
Contattaci: redazione@lanuovacalabria.it
Tel. 0961 873736