di CLAUDIA FISCILETTI
Uno sterminio di cui non si parla abbastanza, quello dei disabili perpetrato dai nazisti ed iniziato negli anni precedenti alla Seconda Guerra Mondiale, non appena Adolf Hitler è divenuto Cancelliere, e poi proseguito negli anni del secondo grande conflitto fino a mietere 300 mila vittime. Queste sono le “vite indegne di essere vissute”, come riportato nell’incontro online di questo pomeriggio organizzato dall’Anpi di Catanzaro, quelle vite di adulti e bambini che sono entrate a far parte del programma di sterminio denominato Aktion T4, tutte vite di persone affette da malattie genetiche o mentali e, in quanto tali, colpevoli di impedire la corretta espansione della razza ariana.
"Uno sterminio doppiamente terribile", ha esordito Mario Vallone, presidente Anpi Catanzaro: "Perché è stato fatto non da SS, ma da medici ed infermieri eccellenti, in strutture qualificate". Non solo, Vallone ricorda che: "Questo ha anticipato tutti gli orrori che si sono verificati successivamente, dal momento che le prove generale della camera a gas si sono effettuate proprio sui disabili".
Ad esporre l'argomento in modo approfondito è Silvia Cutrera, presidente dell'associazione AVI (Agenzia per la Vita Indipendente), il cui intervento è stato anticipato da un frammento del suo cortometraggio "Vite indegne", contenente la storia di Friedrich Zawrel, tra i pochi sopravvissuti al programma nazista di “eutanasia selvaggia”. "Il mio impegno è nato verso il 2007, quando ho deciso di approfondire le ricerche fatte sulla storia che riguarda le persone con disabilità che sono state uccise durante il nazismo. In Italia di loro si parlava poco, come se fosse una questione che riguardava solo la Germania", ha spiegato Silvia Cutrera: "Mentre la comunità ebraica si è impegnata molto a mantenere viva la memoria con le testimonianze, per quanto riguarda lo sterminio dei disabili è stato più difficile perché, oltre a non riscontrare alcun interesse dal punto di vista sociale e storico, per moltissimo tempo non ha neanche avuto testimoni. Sono solo relativamente recenti le testimonianze di sopravvissuti che hanno subito le pratiche di sterilizzazione"
Questo orrore del passato, poi, viene messo a confronto con l'attualità, con il modo in cui sono trattati i disabili oggi e, a parlarne, è Don Giacomo Panizza che si concentra sui diritti e doveri derivanti da questa situazione: "In realtà in Calabria ci si concentra più sui diritti e non sui doveri da prendere in mano". Don Giacomo, che fa parte della onlus Comunità Progetto Sud, ha sostenuto, anche grazie alle sue esperienze passate, come "la Calabria oggi è ancora molto indietro sul tema della disabilità", a partire "dai milioni utilizzati per le case di salute che però, ancora, non sono partite" e spiega come gli ospiti di centri psichiatrici talvolta sono segregati, nel vero senso del termine, fino a decidere di lasciarsi morire, oltre ad essere lasciati morire dalla società.
La memoria, poi, riguarda tutti, dagli adulti ai più giovani e ad intervenire su quanto sia importante il ricordo della storia per i ragazzi è Raimonda Bruno, docente del Liceo Scientifico Siciliani di Catanzaro che, l'anno scorso, ha partecipato con 34 alunni al Treno della Memoria, visitando i luoghi della memoria: "Un'esperienza di viaggio caratterizzata dal silenzio, perché i posti parlavano da soli, ed era il silenzio di chi si sta confrontando con qualcosa di incommensurabile". La professoressa Bruno, poi, ricorda come i negazionisti della Shoah in Italia siano arrivati al 15,6%: "Ciò dimostra che non sono solo i giovani ad aver bisogno della memoria, ma lo siamo tutti. Ci vuole una memoria sana, che sia contestualizzata nella Storia perché altrimenti rischia di diventare banale e retorica, e non è ammissibile che i grandi eccidi siano banalizzati. Senza contestualizzazione la memoria non può mettere radici".
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