di CARLO MIGNOLLI
Luminosa, intensa e determinata: Giulia Elettra Gorietti rappresenta molto più di una semplice attrice. Moglie di Pietro Iemmello e madre di Violante, è una donna che vive con passione non solo il set cinematografico, ma anche il suo impegno per il sociale. Con una carriera iniziata giovanissima, ha saputo conquistare il pubblico e gli addetti ai lavori con interpretazioni versatili e toccanti. In questa intervista ci racconta la sua arte, i progetti che le stanno a cuore e il suo amore per la Calabria, che ormai considera una seconda casa.
Giulia, hai iniziato la tua carriera da giovanissima e hai interpretato ruoli molto diversi tra loro. C’è un personaggio che ti è rimasto particolarmente nel cuore?
«In realtà mi innamoro di ogni personaggio che interpreto. Se non si crea questo legame, difficilmente un attore viene scelto per quel ruolo. Ogni interpretazione è un amore platonico che finisce quando ne arriva un altro. Tra tutti, però, porto particolarmente nel cuore il personaggio che ho interpretato in “Manuel”, un film italo-francese diretto da Dario Albertini. Racconta la storia della Repubblica dei Ragazzi di Civitavecchia, una comunità nata tantissimi anni fa. Il mio ruolo era quello di un’attrice volontaria, personaggio lontano dagli stereotipi, che sentivo molto vicino a me dal punto di vista interiore. In altri aspetti, però, era distante dalla mia personalità, e proprio questa dualità me ne ha fatto innamorare. Quando un personaggio ha sia tratti in comune con me che lati opposti, diventa una sfida affascinante».
A proposito di sfide, c’è stato un ruolo che ti ha messo particolarmente alla prova?
«Sì, l’ultimo film che ho girato, che uscirà a dicembre o gennaio, mi ha messo molto alla prova. A primo impatto il personaggio sembrava distante da ciò che preferisco interpretare, ma questa percezione era basata su una lettura superficiale. Grazie al lavoro con il mio acting coach, Alessandro Prete, che considero il migliore, sono riuscita a costruire il ruolo in modo più profondo. Alla fine, mi sono innamorata anche di questo personaggio, che si è rivelato ancora più interessante e complesso di quanto sembrasse inizialmente. Un attore deve inserire tante sfumature nei ruoli che interpreta, rendendoli più umani e complessi».
Oltre ad essere impegnata nel mondo dello spettacolo, sei molto attiva anche nel sociale. Ci racconti della tua esperienza con la Casa Paese di Cicala?
«Ho conosciuto questo progetto grazie all’ideatrice della struttura Elena Sodano, una donna straordinaria che lavora per migliorare la società mettendosi in discussione ogni giorno. La Casa Paese accoglie persone affette da Alzheimer e crea un ambiente familiare per loro. Sono andata sul posto per conoscere da vicino questa realtà e ne sono rimasta affascinata. Ho portato anche mio marito Pietro, perché pensavo che la sua presenza potesse portare ulteriore gioia agli ospiti. Il calcio, infatti, è una grande forma di aggregazione e Pietro, come me, è molto vicino a tematiche sociali».
Un’altra esperienza che ti lega alla nostra regione è la scoperta di un rifugio dove hai incontrato e poi adottato il tuo cane, Maraya. Ci racconti com’è andata?
«Sentiamo parlare sempre della Calabria e del sud in generale per tante cose negative e mai per le belle realtà che ci sono. Il rifugio in questione si chiama “La Casa di Fé”, si trova a Caraffa di Catanzaro ed è gestito da Egle Cordelia, una donna che dedica anima e corpo a salvare animali abbandonati. Quando sono andata lì per fare volontariato, sono entrata nei box e ho visto Maraya. È stato amore a prima vista. Non avevo programmato di prendere un cane, ma è stata lei a scegliere me. Pietro all’inizio era un po’ titubante, soprattutto perché Maraya è un mix di Amstaff e Pitbull, ma alla fine si è lasciato conquistare. Ora fa parte della nostra famiglia e ci ha arricchiti tantissimo».
Catanzaro è una città che negli anni è diventata parte integrante della tua vita. Come descriveresti il tuo rapporto con la città e la sua gente?
«La città è diventata una seconda casa per me. Mio marito è di Catanzaro, mia figlia lo è per metà e le persone del posto mi hanno adottata con grande affetto. Ho conosciuto la città grazie al lavoro, ma ci sono rimasta per amore. Adoro la Calabria per la sua bellezza, la sua cultura e il calore della gente. Ormai mi sento un po’ calabrese anch’io, anche se nella mia famiglia scorre sangue tedesco e portoghese da parte di mia madre, ma allo stesso tempo dal lato paterno ho origini del sud».
Hai progetti futuri o sogni nel cassetto di cui ti piacerebbe parlare? Magari, c'è la possibilità di vederti in un progetto che parli della Calabria o delle sue storie?
«Presto usciranno due film a cui tengo molto: uno negli Stati Uniti, il mio primo progetto internazionale, e un altro in Italia. Mi piacerebbe un giorno lavorare in Calabria, magari girare un film. Sarebbe bello esplorare il dialetto, anche con l’aiuto di mio marito, e raccontare le storie di questa terra. La Calabria ha tanto da offrire: montagne, mare, cultura. Negli ultimi anni si sono sviluppati progetti molto interessanti e spero un giorno di far parte di uno di questi. Un altro sogno nel cassetto è legato al mio impegno per la parità dei diritti e contro la violenza sulle donne, una causa alla quale tengo particolarmente. Probabilmente deriva dalle mie origini: vengo da una famiglia molto matriarcale dal lato di mia madre, e questa sensibilità mi accompagna sin da piccola. Mi piacerebbe collaborare con “WeWorld”, l’associazione con cui lavoro spesso, per aprire un centro antiviolenza a Catanzaro, visto che a Cosenza è già presente. Sarebbe meraviglioso: non che in Calabria manchino realtà simili, ma credo si possa fare ancora di più per aiutare chi vive situazioni di difficoltà. Sarebbe un modo concreto per restituire a questa terra tutto l’amore che mi ha dato».
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