"Se la giustizia nel nostro Paese non versasse in una condizione patologica determinata dall'abuso del
processo penale, dall'utilizzo sproporzionato delle misure cautelari, dallo strapotere e dalla prevaricazione della pubblica accusa nell'utilizzo dei media - da cui consegue la condanna sociale e
anzitempo del malcapitato di turno -, nonché dallo sbilanciamento degli equilibri istituzionali all'interno dei consigli giudiziari, caratterizzati dall'egemonia della magistratura requirente su quella
giudicante, con effetti perversi sulle carriere di quest'ultimi, probabilmente il giudizio complessivo sulla riforma sarebbe diverso. Nel contesto delineato, la portata della riforma è irrilevante". A
dirlo all'AdnKronos è l'avvocato Valerio Murgano, presidente delle Camera penale di Catanzaro e coordinatore delle Camere penali calabresi, a proposito dell'accordo sulla riforma della giustizia
trovato ieri in Cdm.
"Si è persa l'ennesima occasione per dare ai cittadini una risposta ai problemi reali che affliggono il processo penale - osserva Murgano -, primo tra tutti l'abolizione del processo 'senza tempo' introdotto da
Bonafede. A mio avviso le novità introdotte, pur portatrici di valori culturali oramai da troppo tempo sopiti - tipici del garantismo liberale - non avranno alcun impatto nella realtà". "L'improcedibilità
nei gradi d'impugnazione - aggiunge - non garantisce né il diritto dell'imputato a essere giudicato in un tempo ragionevole né, tantomeno, incide sull'ingolfamento della macchina giudiziaria. Il
problema è ancora una volta culturale e strutturale. Le riforme a costo zero non hanno mai sortito grandi effetti. Come ho avuto già modo di dire qualche mese fa in occasione delle audizioni della
Commissione Nazionale Antimafia a Vibo Valentia, occorre investire, prima ancora che sull'apparato giudiziario e sulle sue strutture, su famiglia, scuola e lavoro".
In ogni caso, prosegue, l'accordo è "sicuramente un piccolo segnale positivo. Il ministro Cartabia ha messo al centro del dibattito temi e parole oramai sconosciuti al lessico comune, quali garantismo, libertà
e dignità dei cittadini. Senza troppi giri di parole, un ordinamento giudiziario che vede pm e giudici con la stessa 'divisa', rappresenta una ferita aperta per la nostra democrazia. Il punto è proprio questo:
fin quando non vi sarà una riforma costituzionale sulla separazione delle carriere, le regole rappresenteranno solo la facciata di una struttura fatiscente".
Ad avviso del presidente delle Camera penale di Catanzaro, anche "le proposte referendarie si pongono sulla stessa scia; hanno certamente il merito di porre l'attenzione sui grandi temi
del Diritto penale liberale, ma non sono in grado di rappresentare la 'rivoluzione' di cui ci sarebbe bisogno". Quanto alle proteste provenienti dai magistrati, che nei giorni scorsi hanno criticato aspramente la riforma, Murgano osserva: "Ogni cittadino ha il diritto di esprimere la propria opinione, purché, soprattutto quando si riveste una carica pubblica, non si dicano fandonie. E questo vale soprattutto per i magistrati. Chiunque si sia posto al cospetto dei processi di criminalità organizzata sa benissimo che i termini di fase delle misure cautelari impongono la celebrazione immediata e in tempi ristretti degli stessi. Semmai si sarebbe potuto, ove non fosse stata prevista la deroga, porre rimedio alla barbarie, invalsa da tempo nelle Corti d'Appello, di congelare i termini di custodia cautelare senza una ragione valida. Ciò che biasimo delle dichiarazioni di alcuni procuratori è, ancora una volta, guardare al processo penale come strumento di lotta sociale e non, invece, come
luogo deputato, nel rispetto delle regole, all'accertamento di un fatto-reato e alla sua eventuale attribuzione all'imputato".
In ogni caso, chiosa il legale, "pur liberi di esprimere la loro opinione, non ritengo che la magistratura possa arroccarsi il diritto di sovvertire o contrastare il volere del parlamento senza
ledere i principi costituzionali che sorreggono lo Stato di diritto. A perdere, ancora una volta, saranno solo i cittadini, sempre più in balia di una disinformazione che si prefigge altri fini. La riforma non elimina affatto l'eventualità, tutt'altro che remota, che l'imputato resti tale per una porzione troppo grande della propria
vita, prima che gli venga riconosciuta la sua innocenza". In conclusione, dunque, per il coordinatore delle Camere penali calabresi, "complessivamente siamo sotto la soglia della sufficienza; ancora una volta toccherà all'avvocatura, all'accademia e a quella
parte della magistratura che si riconosce nei valori del diritto penale liberale, avversare le spinte populiste e limitare gli effetti della crisi endemica che attraversa il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona".
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