di ENZO COSENTINO
Da ieri siamo tutti “in rosso”. Non mi riferisco alle situazioni bancarie. Ma al lockdown pasquale. Un colore, il rosso, che di colpo ci è diventato insopportabile. Eppure il rosso è il colore simbolo di emozioni vivaci, di energia, di eccitazione, di movimento. Che controsenso, allora, rispetto a quello usato per determinare lo stato di libertà individuale e collettiva di una regione, di un comune, di un borgo. Una chiosa iniziale giusto per svelenire, piuttosto che esasperare, un argomento che, se pure non ci appassiona, dobbiamo tener presente. Ben venga allora il rosso nella nostra regione, se veramente può servire a contenere la diffusione del Covid con tutte le sue varianti.
Certo, il lockdown imposto per il periodo pasquale penalizza tante famiglie impossibilitate - salvo trasgressioni che però potrebbero costar care perché i controlli, si dice, saranno rigorosissimi - a rispettare una delle più antiche tradizioni del periodo pasquale: la scampagnata nella nostre belle località montane o marinare. Quelle montane erano le più coreografiche: tavolate di famiglie riunite e festose per luculliani pranzi. Quante “tiane” (tegami) di “pasta china” (la classica pasta al forno), di capretto, patate, carciofi e piselli, “malangiani chini” (melanzane ripiene di carne), purpetti e patata o carne (polpette), vino, gassose, birra e acqua rigorosamente della Sila. E tanto altro ben di Dio. Musica e canti dal vivo. Una allegra baldoria per la gente comune.
Questo scenario folkloristico, il martedì, dopo il lunedì di pasquetta, era sostituito, purtroppo, da quello, deprimente, dei tanti rifiuti che restavano abbandonati sui prati o sugli arenili e pinete varie. Per l’alta borghesia, invece, era obbligatoria una scorpacciata ma in ristorante. Per non far “scattare di fatica ai fornelli” le inanellate signore. Insomma a Pasquetta (o Pasquone) ci si muoveva tutti. Con la voglia di stare insieme. E non potevano astenersi dall’essere presenti anche i giovani. Che in questi tempi di pandemia hanno provato quanto sia pesante stare a casa in regime di continuità. Per questa Santa Pasqua la Sila te la sogni, le spiagge pure. Sperando che stare rintanati in casa possa servire veramente a tenere il più lontano possibile la veicolazione del virus.
Sacrifici su sacrifici, piccole e grandi rinunce. Una Pasqua quella che ci attende completamente diversa. Una Pasqua che, laicamente considerata, sarà triste per i tanti operatori commerciali costretti a starsene inattivi e a guardar…le stelle. Ma le stelle non portano euro nelle casse dei loro esercizi. La domanda che - al di là dei proclami insulsi che spesso arrivano dalla classe politica - ci si pone è: chi risarcirà mai nella giusta misura quanti sono stati colpiti due o tre volte dalla pandemia, dalle pur necessarie restrizioni? E la logica scientifica di tali provvedimenti porterà veramente alla vittoria dell’uomo sul male endemico che l’attanaglia? E in un mondo che ha scelto di essere “globale”, la pandemia attuale non poteva che adeguarsi.
In Calabria la situazione vista dal lato delle negatività è preoccupante: la crisi economica ha toccato ceti sociali e categorie imprenditoriali con una violenza inaudita e per sanare le ferite non possono bastare le promesse o le iniezioni di ottimismo. Il Governo centrale, ma anche quello locale regionale devono fare seriamente la loro parte. Rispolverare il principio della programmazione degli interventi e occorre che per la gestione del denaro pubblico non si trovano “avventurieri spregiudicati” ma persone responsabili. Senza distinzione di “tessere”, nè di certificati anagrafici. Di quelli penali, si!
Una Pasqua diversa a conclusione della quale c’è la resurrezione. Fra tanti cartellini rossi che per i Calabresi ve ne sia uno verde. E’ un augurio per una Nuova Calabria. Sicuramente diversa da quella attuale.
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