di MARIA GRAZIA LEO
Siamo ancora in guerra e gli effetti riflessi di questa assurda aggressione dell’Ucraina da parte della Russia ci portano ad affrontare come in tutti gli eventi bellici o nei casi di persecuzioni, carestie, povertà, eventi climatici catastrofici, un’unica conseguenza: il tema dei profughi e dei rifugiati. Essi sono due vocaboli spesso usati come sinonimi ma che in realtà non sono coincidenti pur se interconnessi.
Ma entriamo nel cuore di queste due parole che socialmente, politicamente, giuridicamente e perché no anche eticamente in questi ultimi decenni sono entrate nella storia delle nostre vite -anche a nostra insaputa- ma che certamente hanno toccato le coscienze e arricchito le nostre conoscenze.
Profugo (è il caso degli ucraini oggi) è colui che lascia il proprio paese per motivi di guerre, invasioni, rivolte o catastrofi naturali; di norma non è nelle condizioni di chiedere la protezione internazionale.
Rifugiato secondo l’art.1 della Convenzione di Ginevra delle Nazioni Unite del 1951 è chi temendo di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenze a gruppi politici o sociali si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o non vuole più avvalersi della protezione di tale paese perché si sente discriminato, nel senso che, se tornasse nella sua terra d’origine potrebbe esser vittima di persecuzioni e di azioni attuate in violazione grave dei diritti umani fondamentali, quali quelli della persona e della sua dignità o quelli della libertà (esempio di questa figura giuridica sono coloro che chiamiamo con un termine semplicistico migranti e su cui torneremo tra poco). Da qui il diritto di costoro di chiedere asilo ad un altro Stato per poi giungere allo status di rifugiato. L’Italia ha fatto sua questa definizione, riprendendola nella legge del 1954 n. 722. La protezione umanitaria in queste situazioni non è prevista perché non ci troviamo difronte ad un rifugiato inteso come vittima di persecuzione individuale ma di una persona che comunque ha bisogno di aiuto, di assistenza, poiché particolarmente vulnerabile sotto il profilo medico, psichico o sociale o soltanto perché davanti ad un rimpatrio potrebbe essere oggetto di maltrattamenti e violenze come la tortura o addirittura la morte. È per queste ragioni che le norme europee parlano espressamente di protezione umanitaria internazionale sussidiaria. Ma questa protezione sussidiaria europea è concessa anche ai profughi o agli sfollati con le stesse motivazioni previste per i rifugiati. Da qui quell’interconnessione o interscambiabilità -se vogliamo- di cui parlavamo all’inizio.
Sono immagini dalle emozioni forti quelle che continuano a giungerci da Kiev e dintorni di migliaia e migliaia di profughi e/o sfollati, che sotto la neve e tagliati dal freddo gelido provano ad attraversare il confine ucraino per trovare accoglienza e un primo riparo in Polonia o in Romania, per poi continuare il loro viaggio dell’esistenza verso parenti, amici o nuove famiglie europee che hanno dato disponibilità a fornir loro un tetto sicuro nelle loro tiepide case, un pasto caldo nelle sere d’inverno, un mite sorriso al cospetto dei loro tristi occhi.
Commovente è lo slancio di solidarietà che si avverte anche a distanza a partire dalle popolazioni degli stati europei più vicini all’Ucraina, oltre che dalle varie organizzazioni umanitarie e di volontari che stanno raggiungendo ex novo quei posti, consapevoli che l’emergenza umanitaria aumenterà ogni giorno di più.
Stupisce invece e maggiormente la posizione dei governi polacchi, rumeni, ungheresi che mesi addietro all’arrivo di profughi siriani, iracheni e ad una eventuale redistribuzione di “ migranti” libici, tunisini…dell’Africa più povera, segnata da guerre tribali e standard di vita degradanti e disumani hanno fatto le barricate pur di non riceverli, respingendoli alle frontiere, o addirittura costruendo muri, allestendo fili spinati come se nulla fosse, in barba ai principi di uno Stato di diritto, valori fondanti dell’Unione Europea ma soprattutto ai valori di umanità verso i quali chi proviene dall’Est- Europa dovrebbe ricordare qualcosa dal recente passato. Ora apprendiamo che è tutto a posto, che verranno accolti i profughi ucraini senza problemi ma forse perché ci sono profughi di serie A e profughi di serie B? Il dubbio rimane se dai racconti pervenuti –nei primi giorni dall’invasione- dalla frontiera bellica studenti africani scappati insieme ai cittadini ucraini hanno denunciato di essere stati respinti o picchiati dalla polizia di frontiera polacca. Un tarlo che resiste e persiste e che registriamo a malincuore.
Per fortuna e per ora -successivamente- sono state di conforto le decisioni prese i primi di marzo dal Consiglio europeo secondo le quali si sarebbe adottata una direttiva europea mai usata prima per garantire una protezione temporanea ai profughi ucraini per tre anni senza più richiedere l’asilo; una decisione che se fosse estesa a tutti i profughi senza distinzioni costituirebbe una svolta sul piano delle politiche migratorie.
E qui riavvolgiamo un attimo il nastro sul concetto di migrante che non è lo stesso di rifugiato, perché il migrante è colui che si trasferisce in un altro paese per cercare lavoro o per migliorare le proprie condizioni di vita e non è perseguitato dal proprio paese d’origine rispetto a chi chiede asilo o è un profugo. Scambiamo molto facilmente queste figure giuridiche ma certamente non possiamo che constatare che effettivamente entrambe rischiano la vita perché scappano o partono dalla terra natia per raggiungere la salvezza o situazioni lavorative più rispettose, più dignitose attraversando lunghe e pericolose traversate in mare, superando a piedi muri e recinzioni di filo spinato. Viaggi disumani se pensiamo che per condurli “in porto” ci si affida nelle mani di trafficanti e delinquenti che speculano sul loro dolore, sulle loro esigenze fino all’inverosimile… dalle violenze sulle donne alle torture per gioco. Rifugiati e migranti, differenti ma uniti dalle varie rotte, fianco a fianco, flussi misti d’umanità sofferente che necessitano della stessa protezione perché alla povertà, alla paura, alle persecuzioni, alla guerra non c’è e non ci può essere categoria giustificativa che tenga…ma solo la parola persona senza aggettivi, altrimenti la discriminazione è nell’angolo e rischierebbe di farsi verbo o cultura d’adattamento nel pensiero comune e questo non possiamo e non dobbiamo permetterlo qui e adesso, ora e sempre.
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