di FRANCESCO IULIANO
Al Gutenberg c’è il racconto della militanza politica degli anni ’70. Quella del movimento dei lavoratori che si proponeva di cambiare il mondo.
Tre storie - si racconta - scritte per chi non c’era e vorrebbe sapere, per chi non ricorda e per chi, invece, proprio non riesce a dimenticare.
Erano in tanti, questa mattina, gli studenti che hanno partecipato alla presentazione del libro dal titolo ‘Certe sere Pablo’ di Gabriele Pedullà, edito da Guido Einaudi editore .
All’incontro, allestito al primo piano del Complesso Monumentale del San Giovanni, Hanno partecipato, con l’autore, il presidente dell’associazione Gutenberg Calabria, Armando Vitrale.
‘Certe sere Pablo’ non è un libro sulla militanza politica ma è un libro sull’esperienza politica della borghesia italiana, su tre generazioni borghesi e sul modo in cui hanno affrontato la seconda metà del Novecento.
“Questo - ha commentato Vitale - è un libro che ricostruisce l'adolescenza e gli anni dell'università del professore Pedullà. La ricostruzione in particolare dell'adolescenza negli anni sessanta e, in particolar modo, nel Sessantotto, anno celeberrimo caratterizzato da movimenti di protesta, da agitazioni studentesche.
La ricostruzione è molto attenta ma anche molto saporita. Pedullà ripercorre la sua iniziazione politica, gli anni appunto della protesta diffusa, delle battaglie sociali e degli anni in cui si gridava ‘studente e operaio uniti nella lotta’. Una formula mitica un po' forzata naturalmente, che però aveva un nucleo di verità estremamente interessante. Pedullà si diverte a ricostruire i suoi entusiasmi personali, insieme a quella dei suoi amici e compagni, in quell’epoca fatidica, di agitazione studentesca diffusa. E quindi racconta anche episodi salienti, simpatici, le scorribande notturne per attaccare manifesti, per scomodare i benpensanti, per creare, diciamo, punti di riferimento anche dell'opinione pubblica progressista”.
‘Certe sere Pablo’ - è stato detto - non è un libro sulla militanza politica «per tutti»: è un libro sull’esperienza politica della borghesia italiana, su tre generazioni borghesi e sul modo in cui hanno affrontato (male) la seconda (lunga) metà del Novecento. I tre racconti indugiano sul modo in cui la politica si fa esperienza privata e generazionale: si passano al vaglio letture, sottocodici linguistici, ritualità sociale. Ma non è il descrittivismo nostalgico e memoriale a prevalere, o un’agiografia dei bei tempi della politica da rinfacciare ai giovani impolitici di oggi. Questa è, semmai, la formula assolutoria con cui quelle stesse generazioni si raccontano.
Parlando delle aspettative e degli ideali e delle speranze dei giovani di oggi rispetto alle generazioni passate, Pedullà ha commentato dicendo che “ho notato spesso, con i più giovani ventenni, che hanno l'impressione che qualcosa gli sia stato rubato. Io tendo a non essere nostalgico di carattere se c'è una cosa che invidio a quella stagione che è stata la mia giovinezza era il senso di futuro aperto che noi avevamo. Quando vedo i ventenni di oggi percepisco che hanno il dubbio di non poter influire più di tanto sulla direzione che prenderà il mondo in cui vivono, non poterlo immaginare, non poterlo progettare tutti assieme. Se la mia generazione aveva ancora qualche cosa, eravamo un po' gli ultimi alla fine di una grande stagione storica, però era proprio questa possibilità di sognare, progettare, cominciare a costruire, capire che i grandi cambiamenti li si producono tutti assieme e non uno per uno. Ecco, qualcosa lì è andato perso e allora su questo uno sguardo indietro forse ci può aiutare oggi a riaprire quel futuro che apparentemente è chiuso”.
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