Un Pierfrancesco Favino da Oscar nel film di Gianni Amelio
13 gennaio 2020 09:34di SERGIO DRAGONE
Anche io mi aspettavo la riabilitazione, piena e assoluta, di Bettino, l’ultimo grande statista di un’Italia oggi purtroppo divenuta debole e balbettante, quasi ininfluente nel panorama internazionale.
Non c’è stata, nonostante qualche giornale abbia scritto che Craxi è stato santificato. Ma non c’è alcuna delusione per “Hammamet”, questo film così bello, poetico e coraggioso di Gianni Amelio che ricostruisce gli ultimi mesi della vita del leader socialista con un lirismo degno di una tragedia greca. O, forse meglio, di una tragedia shakespeariana, un moderno Re Lear che scivola non nella follia, bensì nell’oblìo e nella fine.
La politica e il potere, pure componenti essenziali del racconto, cedono il passo al pathos e alla pietas, alla drammatica e crepuscolare rappresentazione di un uomo che sente l’avvicinarsi inesorabile della morte a cui si ribella a modo suo, con coraggio ma anche con arroganza ed orgoglio.
Craxi si considerava un esule e firmava i suoi ultimi scritti con lo pseudonimo di Edmond Dantes, il leggendario Conte di Montecristo. Il suo è stato un esilio fatto di dolore e di sofferenze, perché la passione politica, così come l’amore, è fatta della stessa sostanza della sofferenza.
E non è un caso che la sofferenza abbia sparso a piene mani il dolore più indicibile in casa socialista. Si pensi al suicidio di Sergio Moroni, appena sfiorato da un’inchiesta giudiziaria divenuta per lui una macchia ingiusta e insopportabile. Dolore che non è stato conosciuto, ai tempi di Tangentopoli, dai due partiti-Stato, la Dc e il Pci, troppo monolitici per consentirsi debolezze, impennate di orgoglio e sensi di colpa.
La visione del film, oltre ad evocare incancellabili ricordi personali (c’ero anch’io, giovane delegato, al Congresso dell’Ansaldo, quello della Piramide telematica di Panseca), suggerisce una riflessione profonda sul rapporto padre-figlia. Ho parlato più di una volta con Stefania Craxi e posso dire di non avere mai conosciuto una donna più combattiva, ostinata e risoluta nel difendere la memoria del padre, così protesa nello sforzo di apparirne degna. Una figlia innamorata di quel padre tanto grande e irraggiungibile, tanto da fare di quella battaglia una ragione di vita. Amelio in questo è stato davvero impareggiabile.
Che dire di Pierfrancesco Favino? La sua è stata una interpretazione da Oscar, non solo per il “tale e quale” del trucco, dell’impostazione della voce, delle movenze, quanto per l’assoluta identificazione tra l’attore e il personaggio, per la sua capacità di immergersi nel dolore e nella sofferenza dell’esule di Hammamet.
Nella scena della Pasqua ad Hammamet, la colonna sonora è una stupenda e struggente canzone, “Cento giorni”, un intenso brano di Piero Soffici e Mogol portato al successo nel 1966 da Caterina Caselli. Caterina è stata un’amica sincera, assieme al marito Piero Sugar, di Bettino. Spesso, nel salotto di casa Craxi a Milano, cantavano assieme. Una canzone profetica. “Perché per te questa vita è un girotondo che abbraccia tutto il mondo”.
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