di AGAZIO LOIERO
A leggere i giornali, l’impressione è che si vada diritti verso l’autonomia differenziata con le conseguenze drammatiche che si abbatteranno sul Mezzogiorno. Tutte le riserve sulla follia di questo provvedimento, espresse all’inizio del suo insediamento a palazzo Chigi, contenute in una frase sola: “l’autonomia deve procedere di pari passo con il presidenzialismo”, Giorgia Meloni le avrebbe accantonate.
Metto il verbo al condizionale perché da meridionale voglio tenere in vita la speranza di sbagliarmi. Sia come sia, il programma della presidente del Consiglio imporrebbe un calendario (il presidenzialismo implica una modifica costituzionale i cui tempi non sono brevi) che il Salvini di oggi non può accettare. Nella Lega infatti si agita un fermento che in superficie non appare nella sua ampiezza e nella sua carica di veleno. Capita sempre così quando si perde. Per avere una seconda prova, basta dare uno sguardo a quello che sta avvenendo nel Pd. Gli autori principali di questo fermento sono quattro. Salvini, Bossi, Zaia e Calderoli.
Ognuno di loro in questo momento storico ha interesse ad approvare più presto possibile, magari per interessi contrapposti, l’autonomia differenziata. Il primo dunque è Salvini. Il quale nel 2018 nel ruolo istituzionale che ricopriva – era, come si ricorderà, vice presidente del Consiglio e portava circa il 18 per cento del consenso nella coalizione di maggioranza. Una forza decisiva per indurre il governo a varare lo scabroso provvedimento. Se non prova neanche a compiere questa scelta politica é solamente perché, avendo appena ottenuto un considerevole consenso nel Mezzogiorno, non intende deludere i suoi nuovi elettori con un provvedimento di chiaro indirizzo antimeridionale.
Oggi il panorama politico è del tutto mutato. Il consenso di Salvini è venuto rovinosamente meno, le elezioni dello scorso 25 settembre attribuiscono alla Lega poco più dell’otto per cento. Alle europee del 2019, appena tre anni prima, quello stesso partito aveva conseguito oltre il 34 per cento. Un tonfo di queste proporzioni in un tempo così breve ha pochi precedenti nella storia d’Italia.
Salvini non è quindi in grado oggi di tergiversare su di un tema diventato, anche per fini di lotta interna, dirimente nella Lega. Per sopravvivere non può avere riguardi nei confronti del Sud, che gli ha offerto, semplicemente in cambio dei suoi selfie, voti in abbondanza e, in larga parte, insensati.
Il secondo autore è Bossi. Il vecchio capo, malgrado i suoi tanti acciacchi, oggi rilancia, favorito da questa recente sconfitta politica della Lega, in alternativa a quello di Salvini, il partito delle origini. Con il suo taglio tradizionale, come sempre antimeridionale. Il terzo autore è Luca Zaia, presidente regionale del Veneto, ma con le movenze sceniche del presidente degli Stati Uniti. Inguaribilmente malato di nostalgia per i fasti della Serenissima, lo scorso mercoledì ha detto con tono perentorio alla festa leghista di Alzano lombardo: “il progetto dell’autonomia è la condizione sine qua non per la sopravvivenza della Lega”.
Una locuzione latina che in certi ambienti fa chic e insieme una pesante minaccia per il povero Salvini. Zaia è infatti in questo momento storico schierato con Bossi e nutre l’antica speranza di portare finalmente in Veneto la segreteria della Lega. L’uomo adatto alla bisogna c’è. E’ il suo. Procediamo. Il quarto autore è Calderoli, ministro per gli affari regionali, noto azzeccagarbugli istituzionale, già nel 2006 autore di una legge elettorale nefasta che lui stesso ha a suo tempo, con un incontenibile soprassalto di candore, definito “una porcata”. Ieri, ascoltando le parole minacciose di Zaia, ha inviato il disegno di legge quadro sull’autonomia differenziata a palazzo Chigi, senza attendere il vaglio delle regioni. Sta profondendo tutta la sua molecolare conoscenza dei regolamenti parlamentari per fare approvare in fretta e furia l’autonomia.
All’apparenza obbedendo al citato diktat di Zaia, ma, visto che siamo in Veneto, si trasforma in servitore di due padroni. Il suo secondo vero obiettivo è salvare il segretario della Lega che sul tema versa in difficoltà, e nel contempo assicurarsi, attraverso questo prezioso servigio, un’altra legislatura. La nona. D’altra parte, sarebbe difficile per lui tornare a fare il chirurgo maxillo-facciale. Dopo così tanti anni di impegno in Parlamento trascorsi a studiare gli inghippi dei regolamenti camerali, ha perso la manualità, indispensabile per quella professione.
In conclusione, l’Italia potrebbe perdere la sua unità sancita in forma solenne all’articolo cinque della nostra Costituzione: “La Repubblica una e indivisibile…” per mano di un ridotto manipolo di uomini del tutto privi di cultura storica. I quali, per sanare le proprie beghe interne, hanno deciso di mandare questo nostro Paese a ramengo.
Io però continuo a credere che la Meloni non sia di questo avviso. Tanto meno Berlusconi
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