I classici oggi / 14. Curiosità e modi di dire (parte 3)

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images I classici oggi / 14. Curiosità e modi di dire (parte 3)

  10 novembre 2022 14:52

di MASSIMILIANO LEPERA

Cosa dire, ancora, della “spada di Damocle”? Significa correre il rischio di un grave pericolo che può verificarsi da un momento all’altro. Secondo la leggenda, dunque, Damocle viveva a Siracusa, presso la corte del celebre Dionigi il Vecchio, tiranno della città a cavallo tra V e IV secolo a.C. Egli era un uomo di corte, che spesso adulava il sovrano, sottolineando quanto fosse fortunato ad avere potere e ricchezze. In questo modo, dimostrava anche una certa invidia nei confronti del tiranno ma, come accade anche oggi, trasformava questo sentimento in adorazione e piaggeria.

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Allora Dionigi, per mostrargli la sua effettiva condizione, lo invitò ad una cena ricca di cibi e di delizie, facendolo sedere sul suo scranno. Poco prima, però, aveva sospeso sopra quella sedia una spada, che era legata solo ad un esile crine di cavallo. La spada era lucida e sguainata, e poteva cadere sopra la testa di Damocle da un momento all’altro. La cena era quasi finita, quando Damocle si accorse di avere sopra di sé una spada pendente e allora pregò il sovrano di farlo andare via e di poter tornare ad occuparsi delle sue mansioni di modesto giullare. Mettendo quella spada, infatti, Dionigi voleva far comprendere a Damocle che la vita di un uomo di potere non è, in realtà, così semplice, poiché una persona che riveste un ruolo importate è continuamente minacciata da rivali, deve sempre guardarsi alle spalle e non sa di chi può realmente fidarsi.

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Tutti questi pericoli generano certamente tensioni ed angosce, così forti da far perdere quasi il gusto per i benefici conquistati. La spada, quindi, rappresenta la doppia faccia del potere e la sua ambivalenza. Spostandoci ora verso un altro mito, avete mai sentito parlare di un “labirinto”? Riprodotto anche in diversi parchi e Luna Park, il termine è utilizzato spesso in senso metaforico per indicare qualsiasi edificio o complesso di edifici in cui sia difficile orientarsi, oppure qualsiasi intrico di strade o di sentieri, o ancora serpeggiamento di corsi d’acqua, e così via.

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Naturalmente il labirinto per eccellenza era quello di Creta, costruito da Dedalo per rinchiudervi il Minotauro, mostruoso figlio di Minosse. Collegato a questo stesso mito è l’altro modo di dire, “piantare in Nasso” (a volte erroneamente o diversamente interpretato, e dunque non compreso, come “piantare in asso”, con scorretta divisione e sillabazione). Si fa riferimento al racconto mitologico di Teseo e Arianna: la bella figlia del re di Cnosso si era innamorata dell’eroe ateniese e lo aveva aiutato nella sua impresa contro il Minotauro. Sconfitto il mostro, i due partirono insieme da Cnosso, ma Teseo abbandonò la fanciulla sull’isola di Nasso senza un apparente motivo (poi l’avrebbe ritrovata, e sposata, Dioniso).

In italiano poi con il tempo, come detto, tale frase si trasformò in “piantare in asso”, che si utilizza tuttora. Quando si lascia una persona senza spiegarle perché lo si stia facendo e senza darle il tempo di capire esattamente cosa stia accadendo, si usa spesso questa espressione. Il motivo che mette in relazione l’abbandono e l’asso si spiega, probabilmente, poiché in alcuni giochi di carte l’asso è spesso il punto più basso, che a nessuno serve.

 

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