di MASSIMILIANO LEPERA
Ci siamo mai chiesti quanto ancora siamo classici oggi? Le fatidiche “lingue morte”, il greco e il latino, quanto ancora pulsano nei nostri cuori e si riflettono nelle nostre menti, a distanza di millenni? L’eredità che ci hanno lasciato la tradizione e la civiltà classica sono molto più consistenti e longeve di quanto si possa realmente pensare. Per andare sul piano pratico, basti pensare all’uso abbondante di proverbi o locuzioni di stampo latino che, spesso, sono citati senza comprenderne effettivamente il contesto o il significato. Oltre al pluri-utilizzato e inflazionato “carpe diem”, tratto dalle Odi di Orazio (1, 11, 8) e tradotto liberamente con “cogli l’attimo”, per intendere la fugacità del tempo e l’invito all’uomo di vivere intensamente senza lasciarsi sfuggire ogni occasione – che si ritrova persino in centri del commercio e negozi (ad esempio negozi di calzature con l’insegna “Scarpe diem. Cogli l’ottimo”, sic!) – come non citare la celebre massima “de gustibus non disputandum est”? Di incerta attribuzione, ma molto frequente nel linguaggio comune e spesso abbreviata semplicemente in “de gustibus”, si traduce con “sui gusti non si può discutere”, intendendo che i gusti sono soggettivi e ciascuno di noi ha diritto ad avere i propri, sebbene talvolta possano sembrare strani agli altri. Anche questa massima, ad esempio, è molto usata nelle insegne degli esercizi commerciali, in primis quelli d’ambito gastronomico. “In primis”, appunto. Cos’altro significa questa locuzione? “Tra le prime cose, innanzitutto”.
Un semplice costrutto, formato da una preposizione (in) e un ablativo plurale (primis) ha dato origine a qualcosa che, volenti o nolenti, pronunciamo o ascoltiamo quasi quotidianamente. E se capita di assistere a un “qui pro quo”? Non c’entrano i cartoni animati o i fumetti, affatto. Perché questa locuzione (formata da due pronomi relativi declinati rispettivamente al nominativo singolare e all’ablativo singolare, connessi dalla preposizione pro) fa intendere che c’è stato un malinteso, un fraintendimento, un equivoco insomma. Probabilmente derivante dal titolo di una sezione che in alcune compilazioni farmaceutiche tardo-medievali includeva i medicamenti che si potevano dare al posto di altri, tale espressione è molto usata, e spesso ignobilmente storpiata e incompresa. E poi, “panem et circenses” oppure “mens sana in corpore sano”? Due espressioni tratte entrambe da Giovenale – ancora una volta i poeti satirici (come prima Orazio) ci vengono incontro nella loro straordinaria attualità – delle quali la prima (Satire, X, 81) indica le aspirazioni della plebe nell’età imperiale romana. Aspirazioni sulle quali faceva leva una buona parte degli imperatori del tempo, che organizzavano giochi nel Colosseo e distribuivano i beni primari a prezzi ribassati, per ingraziarsi il favore del “popolino”. La seconda, invece, è una sentenza molto nota (Satire, X, 356), che è tratta dall’educazione antica, la quale riteneva come condizione indispensabile la pratica dell’esercizio fisico, da associare all’efficienza della facoltà spirituale. Letteralmente, infatti, l’espressione idiomatica significa “mente sana in corpo sano”.
E per concludere questa prima parte della sezione sulle locuzioni e i proverbi, non si può tralasciare la fatidica “cum grano salis”. Questa espressione, probabilmente tratta da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, 23, 77, 3), significa chiaramente, in senso figurato, “con un po’ di discernimento”, in quanto, letteralmente, indica “con una presa di sale”, e cioè che tutto ciò che si indica in quel determinato contesto non va preso alla lettera, ma ponderato e razionalizzato.
(fine parte I)
Testata giornalistica registrata presso il tribunale di Catanzaro n. 4 del Registro Stampa del 05/07/2019.
Direttore responsabile: Enzo Cosentino. Direttore editoriale: Stefania Papaleo.
Redazione centrale: Via Cardatori, 9 88100 Catanzaro (CZ).
LaNuovaCalabria | P.Iva 03698240797
Service Provider Aruba S.p.a.
Contattaci: redazione@lanuovacalabria.it
Tel. 0961 873736