Di MASSIMILIANO LEPERA
I classici, oggi, sono attuali più che mai e, in linea con la puntata precedente, per constatare quanto sia consistente l’eredità che ci hanno lasciato la tradizione e la civiltà classica, sul piano pratico, si possono citare numerosissimi altri proverbi o locuzioni di stampo latino, spesso utilizzati senza consapevolezza reale. Cominciamo con “ad maiora” e “per aspera ad astra”? Il primo, usato spesso per intendere di fare sempre meglio e non fermarsi mai nella vita, ma provare costantemente a migliorare se stessi, generalmente richiede come risposta “semper”, proprio per dimostrare la consapevolezza, da parte del destinatario di tale locuzione, che il messaggio è stato recepito e si vuole realmente tendere al meglio, “a cose maggiori, più grandi”, letteralmente interpretando la massima latina. Una formula d’augurio a tutti gli effetti – dello stesso impatto augurale di un odierno “in bocca al lupo” o “avanti tutta!” – con cui ci si rivolgeva, sin dall’antichità, a coloro che avessero conseguito un’affermazione, per auspicargli ulteriori successi o risultati. E “per aspera ad astra” invece? Prendendo spunto dall’Eneide di Virgilio (IX, 641), in cui si legge “sic itur ad astra”, ma anche da Seneca (Hercules furens, 437: “Non est ad astra mollis e terra via”), con questa frase si è sempre voluto intendere che la via della virtù e della gloria è colma di difficoltà e ostacoli e senza fatica e sacrifici non si giunge da nessuna parte. Una simile frase, contenente un messaggio tanto colmo di valore, è stata adottata persino dall’aeronautica militare della Gran Bretagna, la Royal Air Force, che nel proprio motto araldico ha scritto “per ardua ad astra”, intendendo, con piccola variazione lessicale ma praticamente uguale significato, “attraverso le cose difficili si giunge alle stelle”.
E se … “ubi maior, minor cessat”? Letteralmente traducibile in “quando è presente chi è maggiore, chi è minore termina (di esistere/avere il sopravvento)”, indica che dove è presente chi ha maggiore autorità, cessa il potere di chi è inferiore, proprio per significare l’esigenza, da sempre, del rispetto delle regole e in particolare, in questo caso, della gerarchia. E spostandosi poi in ambito ecclesiastico, se citiamo l’espressione “urbi et orbi”? Questa formula, usata in particolari decreti delle Congregazioni romane o in solenni benedizioni pontificie, indica che ci si rivolge non solo alla città di Roma (Urbe per eccellenza del mondo, da sempre), di cui il papa è vescovo, ma a tutto il mondo cattolico. La traduzione letterale, infatti, sarebbe “alla città e al mondo”, ma si intende in questo caso la città di Roma. Tale espressione, scevra della sua aura religiosa, assume invece il significato di “dappertutto”: si può citare, come esempio, la frase “è noto urbi et orbi”, ovvero è noto dappertutto.
E se si riesce a mandare un “curriculum” ad un’azienda “in extremis”, prima della scadenza dei termini di un bando? Basta una frase tanto semplice per contenere altre espressioni e locuzioni d’ambito latino. Il curriculum, che non è altro che l’abbreviazione di curriculum vitae, è un lontano derivato della radice del verbo latino “currere” (correre), il cui supino è “cursum”, corso: nel campo dell’istruzione, infatti, il curricolo – così italianizzato – indica l’insieme dei corsi e dei loro contenuti, offerti da un’istituzione che può essere la scuola o l’università, in tal caso. “In extremis”, invece, indica letteralmente “nei momenti estremi”, ovvero negli estremi momenti di vita e quindi in punto di morte. Naturalmente, a prescindere dagli usi specifici in determinate frasi o locuzioni, soprattutto del linguaggio giuridico, commerciale ed economico (pentirsi in extremis; fare testamento in extremis; matrimonio in extremis …), si utilizza spesso anche in senso figurato, per indicare scadenze e finali imminenti (una nomina fatta in extremis). Per concludere, si può accennare qui l’“errata corrige”: generalmente in uso nel linguaggio bibliografico, equivale agli “errori da correggere” (letteralmente significa “correggi le cose errate”) e si intitola con questa espressione l’elenco degli errori rimasti in un libro dopo la stampa, oppure delle variazioni che un autore vuole apportare al testo a stampa ultimata. Originatasi dopo l’invenzione della stampa, tendenzialmente si colloca alla fine dell’opera e reca l’indicazione della pagina e della riga dove si trova l’errore, con a fianco la correzione. Insomma, un’altra lunga lista di terminologie, parole, espressioni, frasi e locuzioni che sin dal mondo latino giungono direttamente nel XXI secolo per ricordarci che, in fondo, la classicità e le origini non le abbiamo mai perdute.
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