I punti deboli del Decreto Calabria

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Poco tempo per la verifica dei manager e l'adozione degli atti aziendali. Rischio paralisi negli appalti. Le ombre del Decreto sulla sanità calabrese

  04 giugno 2019 13:37

di Gabriele Rubino

Il Decreto Calabria introdurrà un regime speciale per la sanità calabrese. Un supercommissariamento di 18 mesi (leggi il dettaglio delle norme) con cui si  conferiscono ancor più poteri ai delegati del governo centrale riducendo, in proporzione, le già residuali prerogative regionali. L’obiettivo dichiarato dal ministro della Salute Giulia Grillo, che indubbiamente ci ha messo la faccia, è di far uscire la sanità calabrese dal fossato in cui è caduta: livelli essenziali di assistenza (Lea), nel 2017 a 136, ben al di sotto della soglia di sufficienza di 160 e pesante disavanzo di bilancio, che nel 2018 è arrivato a 168,9 milioni di euro.

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POCHI SEI MESI PER LA VERIFICA SU OBIETTIVI NON DEFINITI Al di là della forzatura costituzionale, giustificata con la temporaneità dell’intervento, insita nella nuova procedura di nomina dei direttori generali (nel decreto: «commissari straordinari») con cui sarà il commissario governativo e non più il presidente della Giunta ad avere il pallino in mano, gli aspetti più problematici del decreto riguardano in realtà i momenti successivi. È prevista una verifica semestrale per saggiare il buon operato dei nuovi manager di Asp e aziende ospedaliere. Sei mesi sono francamente un periodo troppo breve, appena sufficiente all’ambientamento di professionisti che arriveranno da fuori regione o «per capire dove si è andati a finire» (per usare le parole critiche dell’ex commissario Massimo Scura). Inoltre il provvedimento non indica chiaramente sulla base di quale criteri i commissari saranno valutati. Di regola, gli obiettivi dei vertici si concordano prima, in questo caso si fa riferimento all’attuazione del piano di rientro. Espressione parecchio generica e in cui peraltro è proprio la nuova struttura commissariale ad essere in ritardo visto che a dicembre del 2018 è scaduto il precedente programma operativo triennale (nient’altro che il piano di rientro). Il nuovo 2019-2021 è ancora in corso di lavorazione, ma nonostante le richieste del Tavolo Adduce, risalenti alla seduta del 15 novembre 2018, non ha visto ancora la luce.

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MANCA IL PROGRAMMA OPERATIVO, RISCHIOSO ANCHE L’ATTO AZIENDALE IN NOVE MESI L’assenza del programma operativo pone anche una questione di metodo. Con il decreto si conferiscono ai commissari governativi poteri aggiuntivi ma non si sa per cosa li utilizzeranno. Infatti solo all’interno dell’atto programmatorio si capirà come sarà disegnata la rete ospedaliera, quella territoriale, come verranno regolati i rapporti con gli operatori privati. Altro punto delicato è la norma che impone ai nuovi dg di Asp e aziende ospedaliere è l’adozione dell’atto aziendale, in piccolo una sorta di “Costituzione” di ciascun ente. Se sei mesi sono pochi per la verifica sui risultati figurarsi i nove mesi per stilare il documento organizzativo principali di enti che contano migliaia di dipendenti e con fatturati di centinaia di milioni di euro.

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RISCHIO STALLO SUGLI APPALTI  L’articolo 6 introduce una biforcazione in materia di appalti pubblici. Per la gare più importanti, in termini di importi, la stazione unica appaltante viene di fatto cancellata dovendo rivolgersi a Consip o una centrale di committenza di un’altra regione. Per gli appalti più piccoli, molte forniture di dispositivi medici per gli ospedali o farmaci, si rimanda ad un futuro protocollo da sottoscrivere fra il commissario e il presidente dell’Anac. E nel frattempo? Il rischio è che nell’incertezza normativa i vertici di ospedali e Asp, peraltro con i giorni contati, preferiscano non  azzardare l’espletamento di procedure, paralizzando acquisti di beni e servizi.

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