di PAOLO CRISTOFARO
In Italia spesso è difficile recuperare la memoria. Diceva Indro Montanelli che l'Italia non ha futuro proprio perché non ha memoria. E recuperare la memoria non significa solo ricostruire i fatti, conoscere gli errori per non ripeterli - di qualunque natura e da qualunque fronte siano commessi - ma forse significa anche dedicare un po' del nostro tempo per coloro ai quali il tempo della vita è stato negato. E ogni 10 febbraio c'è una memoria, insieme a tante altre giustamente celebrate ogni anno, che l'Italia deve andare a recuperare sottoterra, nelle fredde cavità carsiche, sotto le rocce della Venezia Giulia, della Dalmazia, del Quarnaro: quella dei martiri delle foibe.
Martiri le cui storie, i cui sogni, le cui vite, le cui paure, le cui voci si è tentato a lungo di disconoscere, di nascondere, di negare. La vicenda tragica si è consumata sul finire della Seconda Guerra Mondiale. Le truppe partigiane comuniste jugoslave di Tito, hanno fatto mattanza di italiani autoctoni, accusati di essere collaborazionisti fascisti e nazisti. Si conta che i trucidati - a volte gettati nelle foibe ancora vivi - furono tra i 5mila e gli 11mila. Una verità che, soprattutto nei primi decenni del dopoguerra, imbarazzava e che forse imbarazza tutt'oggi. Una verità che non solo è stato difficile tirar fuori dalle profondità della terra, ma anche da quella della coscienza nazionale.
Eppure gli omicidi non si possono e non si devono dimenticare, perché non è con la morte e con la violenza che un'idea vince: con la violenza le idee perdono sempre. Delitti commessi con modalità che non troverebbero giustificazione alcuna neppure nella più terribile delle guerre. Ma la verità che la storia ha restituito - prima o poi la storia rivela sempre - senza dubbio ancor più amara, è che ad essere stati uccisi e gettati come stracci tra quelle gole non furono soldati durante un combattimento (cosa che sarebbe comunque terribile), ma per la maggior parte famiglie, civili, studenti, contadini, ragazzi e bambini, rastrellati dalle loro case e liquidati nel peggiore dei modi come collaborazionisti, senza difese né processi, con un'unica colpa: essere italiani. Spesso le vittime venivano scaricate nelle foibe dopo aver subito indicibili violenze e torture, come nel caso di Norma Cossetto, studentessa 23enne istriana violentata, torturata e infoibata dai comunisti di Tito.
E a cosa serve oggi la memoria? A cosa servono le memorie, tutte quelle che celebriamo ogni anno? Probabilmente ai più risulta ancora difficile capirlo. Risulta difficile capire che in date diverse, decine di date nelle quali ogni anno celebriamo caduti e morti di ogni tipo - dalle guerre alle mafie - in realtà stiamo dedicando del tempo ad un'unica memoria. Un'unica memoria che non si può dividere e che non si può colorare. Un'unica memoria che ci rende uguali, uniti e soprattutto umani: la memoria della morte, di chi non c'è più, di chi ha sofferto. La morte annulla le differenze e ci ricorda di condannare non gli innocenti, ma la violenza sotto ogni forma. Teniamo viva ogni memoria, perché si costruisca un futuro senza soprusi, ma di confronto. Chi ancora cerca di separare i morti, di dividere, di politicizzare tutto, è in ritardo e non ha capito né il senso della storia né quello della vita. Perché forse, da un'altra parte, i caduti sono già tutti uguali, senza colore, insieme.
Testata giornalistica registrata presso il tribunale di Catanzaro n. 4 del Registro Stampa del 05/07/2019.
Direttore responsabile: Enzo Cosentino. Direttore editoriale: Stefania Papaleo.
Redazione centrale: Via Cardatori, 9 88100 Catanzaro (CZ).
LaNuovaCalabria | P.Iva 03698240797
Service Provider Aruba S.p.a.
Contattaci: redazione@lanuovacalabria.it
Tel. 0961 873736