Il buon giornalismo, la città e questa politica...

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Franco Cimino
  18 agosto 2019 21:09

di FRANCO CIMINO

 Il lavoro del giornalista vero è quello di cercare le notizie, non di aspettarle comodamente seduto nel salotto di casa; leggere i fatti e saperli comunicare. È anche quello di cercare le notizie, quando esse si nascondono, sbirciare tra le pieghe dei nascondimenti di parti o dell’intera sostanza di esse; spiare tra i non detto e le ambiguità, volute o non, dei protagonisti; intuire dove vanno le strategie e le volontà di quanti creano i fatti, specialmente in politica, capire dove la stessa, nelle sue articolazioni, potrebbe andare a parare. Prevedere e dire anticipatamente, perché no?, quali scenari si prefigurano nel futuro e ad opera di quali personaggi. Esprimere liberamente la propria opinione sui fatti e la realtà indagati e correttamente raccontarli.

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Questo è il mestiere del giornalista. Del buon giornalista. Che possa essere anche bravo dipende dalla sua penna. Ovvero, anche corretto, dalla sua onestà. E, pure fine e profondo, dalla sua cultura. Cioè, se ha studiato tanto e letto di più, dalla cultura classica al più recente fumetto. Il giornalista vero, non deve inventare nulla, né costruire mondi diversi, ché non è compito suo, essendo egli preceduto dalle due forze storiche del cambiamento, quali la cultura e la politica. Per questo il suo lavoro è molto difficile. Ha pure a che fare con la libertà piena, la sua, e la necessità di governarla. Un’apparente contraddizione, questa, solo per chi non conosce questo mestiere. Non lo è certamente per i filosofi che la libertà, nelle sue diverse manifestazioni, anche storiche e spirituali, manipolano come il ceramista fa con la creta.

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Da noi, in Calabria, a Catanzaro soprattutto, un buon giornalista vede quel che c’è, racconta ciò che vede, e se gli resta il dovere nel tempo rimastogli, quella realtà commenta prefigurando anche situazioni che potrebbero, a suo libero giudizio, accadere. Si prenda ad esempio la politica. Essa è dominata da una mediocrità crescente, tanto grave quanto colpevole, anche moralmente, dei gravi danni che procura. In Città c’è un sindaco che naviga in acque tranquille, le sue, dove con piccole barchette, sta facendo arrivare, con la furbizia di chi promette a tutti lo stesso posto, il suo, quanti aspirano, in questa politica, a fare il primo cittadino.

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A destra si muovono due barchette, in ciascuna un candidato. Nessuno dei due parla, dice un qualcosa che riguardi il futuro della Città, tiri fuori, che ne so, un’idea che sia la propria, o commenti una volta quella degli altri, per esempio sul consumo del territorio, che stanno definitamente ammazzando sotto i propri occhi, complici di fatto. Fanno i corifei del ventennale sindaco, lo applaudono in pubblico e ne decantano le virtù( vuoi vedere che altrimenti si incazza e ci toglie il ruolo di prescelti?). A sinistra, in quel che resta di essa, c’era fino a qualche giorno fa, un solo candidato, altri, dietro le quinte, dello stesso luogo, il Consiglio Comunale, si preparavano ad avanzare la grande aspirazione. Tutti, con ritmi diversi, e tra loro divisi, a guardare il sindaco in carica. La domanda per ciascuno è la stessa: che fa, si dimette o non si dimette? Andrà alla Regione o sarà costretto dalle note vicende giudiziarie, da tempo avviate su larga scala e su più fronti, non sembrerebbero però nessuno il suo personale. Lui strizza l’occhio a tutti, che hanno fretta di andare al voto perché sicuramente “più forti adesso”. Sembra dir loro: "se farete i buoni vi accontento tanto” a mia cu vincia vincia on m’importa nenta si fannu bonu pe’ Catanzaru”. Da qui la strutturale debolezza, oltre a quella endemica, finora manifestata dall’opposione. L’opposizione di "a quallo là gli spezzeremo la schiena”, non si è vista. I catanzaresi della primavera mancata la ricorderanno prima del loro procurato addormentamento. Al centro, non si vede nulla perché nulla c’è. Anche se, vedrete, tutti coloro che non troveranno spazio nei due schieramenti, da quelli in tanti provenienti, si inventeranno una bella rivoluzione proprio da quelle parti deserte.

In questi giorni a sinistra, tuttavia, sull’onda lunga dei social e sulla elegante gestione femminile degli stessi, sembra emergere qualcosa che appare nuovo. A tratti convincente. Sicuramente, intrigante. Dai social sembrano muoversi consensi su quella novità. L’attenzione cresce, forse anche l’ambizione, tra l’altro elegantemente sollecitata da personalità importanti della politica e della sinistra, che ad essa vi aggiungono il proprio cuore. È una cosa che è nata fuori dal mare del sindaco in atto. Non si muove su una barchetta, ma su radio e tv locali. Veicola volto e parole, non ancora braccia forti per menar le mani nella contesa in cortile. Tuttavia, ha creato se non panico una certa agitazione. Almeno, sul fronte antigovernativo. Dicono che vi siano molte irritazioni in quel campo. Specialmente, in quello della mancata primavera catanzarese. La cosa che irriterebbe di più, sono i continui riferimenti al legame di questa novità alla non dimenticata esperienza Scalzo, che conferirebbe alla novità una forza aggiuntiva di novità (il gioco di parole è voluto), la quale, in aggiunta al nome, al volto e alla condizione “preferenziale” (oggi è così, nonostante le continue “lamentazioni di genere” e dirlo non è peccato, spero), segnerebbe il definitivo vantaggio rispetto a chiunque, anche tra i più accreditati. Un buon giornalista, per farla breve, tutto questo vede e racconta. E dai si dice, dal non detto, dal chiacchiericcio, dalla psicologia delle persone, tira fuori quel che ancora non viene dichiarato. E cioè la possibilità che o al Comune o altrove, questa ambizione possa trovare proiezione.

Apriti cielo! Dallo stesso ambito della novità, dalla stessa personalità che la incarna, dagli stessi mezzi che l’hanno promossa, si muove una certa irritazione nei confronti di non so chi. Di certo del giornalista, che l’ha “ creata”. Invece, di ringraziarlo, e con lui quanti l’hanno condivisa, lo criticano, trasformando un riconoscimento e un onore (essere riconosciuti quali possibili canditi alla carica più importante della Città) quasi in un insulto. Anche la novità personalmente interessata smentisce, tanto convintamente (“al momento non penso di fare il sindaco”) che al giornalista vi si dovrebbe assegnare un premio speciale. Per aver fatto semplicemente il buon giornalista in questa lettura della realtà catanzarese. Una realtà così scarna di nuovo autentico e di una robusta cultura a sostegno, così priva di qualità della e nella politica, così carente di senso di responsabilità e di amore per Catanzaro, che fa spavento. O, forse, anche piangere.

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