di MARIA MARINO*
La fede è qualcosa che semini lungo la strada e aspetti che cresca prendendotene cura giorno per giorno, irrigando il terreno quando ancora quel seme lo hai appena sepolto sotto la terra. Poi un giorno finalmente vedi un esile filo d’erba spuntare e pensi “è fatta, la pianta è nata e sta crescendo!”; ma non è così: quell’esile filo d’erba devi continuare a curarlo fin quando diventa un ramoscello, poi un arbusto e continuare a sperare che diventi il tronco di un albero ricco di foglie, capace di germogliare ancora e darti i frutti più dolci e più saporiti dell’orto. E per tutta la sua vita occorre che continui a prendertene cura, ad innaffiarlo, a recidere quei rami malandati che impediscono la crescita dei rami più robusti, curarlo e difenderlo dagli insetti nocivi, aiutarlo a crescere sempre più solido e ben piantato nel terreno entro il quale crescono robuste radici che possano difenderlo dalle intemperie, dai venti quando spirano forte, dal gelo nelle fredde notti invernali. Ne sa qualcosa il contadino che della sua terra vive e di essa si prende cura ogni giorno della sua faticosa vita.
La fede ha lo stesso ciclo vitale delle piante e come esse necessita di cure per tutto il trascorrere della vita; il seme della fede, interrato dentro l’anima dei più piccoli col sacramento del Battesimo, a volte si trasforma in quel filo d’erba e di luce, altre volte invece muore nel buio dello spirito di ciascuno, logorato dal frastuono della vita materiale e fugace a cui ci si abitua facilmente. Ma quando le luci e i rumori si spengono e ognuno resta solo con sé stesso, è sempre possibile che riaffiori l’opportunità dell’incontro con Dio. E’ un incontro di tenerezza e dolcezza con un Padre che non abbandona mai i suoi figli, nemmeno quando questi gli voltano le spalle: Lui resta lì ad aspettare di essere cercato nella profondità dell’anima, nel confronto con i nostri limiti e le nostre fragilità, non ci abbandona alla disperazione nei momenti più tristi e difficili, ma ci tende la mano e ci “porta in braccio” con il peso del corpo e della nostra tristezza, come ha detto Don Mimmo, tornato nei luoghi del cuore da Cardinale, “Dio abita nella tua vita, cuore nel tuo cuore, puoi farlo diventare forza nella tua forza” . E’ questa certezza che diventa fede in tutta la sua bellezza, in tutta la sua pienezza: una fiducia incondizionata che ti fa ritrovare Dio dentro, nella profondità del tuo essere “semplicemente” un uomo o una donna.
La fiducia in Dio, ritrovato nel profondo di noi stessi, si nutre dell’incontro con l’altro, tra persone che si pongono con sacro rispetto dell’essere umano, riconoscendo nell’altro la grandezza di Dio, “un rogo ardente che non si consuma” senza pregiudizi e senza preconcetti, nell’incontro tra fratelli in quanto figli di un unico Padre, quello Celeste che delle sue creature ne fa ogni giorno la sua immagine. Se questa è la fede in Dio allora l’incontro con l’altro non può che essere un incontro di fede, quella fede che seminata e curata fa vere e profonde le relazioni umane, fa nascere dagli incontri una nuova speranza, quella speranza definita chiaramente dal Cardinale Battaglia, il “per sempre Don Mimmo”: “ l’ostinata ricerca del bene, che tra bene e male sceglie sempre il bene, che non cede dinnanzi all’ineluttabilità della sorte, che non è rassegnazione ma è il rimboccarsi le maniche e fare con ciò che si ha”. In questo incontro di fede e di speranza l’abbraccio diventa segno di quella cura che hai dedicato coltivando il seme della fiducia in Dio e nell’altro, che riconosci essere creatura di Dio.
Nessuno dirà che sia facile, al contrario, curare la fiducia è conquista rispettosa e quotidiana di spazi sacri nell’anima altrui: non si può pensare d’invadere l’altro, che è “rogo che arde e non si consuma su terreno sacro, perciò levati i sandali”, è un agire lento di conquista da un lato e di concessione dall’altro che avviene all’insegna della reciprocità: piccoli gesti che generano abbracci e poi relazioni profonde, di fiducia reciproca che si evolve e dura alle intemperie del tempo, agli inverni dell’anima e ai venti gelidi dell’ipocrisia e dell’indifferenza. L’attenzione ai bisogni dell’altro è presupposto necessario, ma a volte non sufficiente. Don Mimmo, nel richiamare il passo evangelico “…in Lui era la luce…” invita ad amare la vita, propria ed altrui, perché amarla vuol dire cogliere anche la bellezza della dignità propria ed altrui ed è la vita la luce del mondo, la luce che accende la speranza con la forza dell’amore, per donare e donarsi una nuova opportunità. La bellezza della fede è dunque questa: riconoscersi luce nel mondo e nel quotidiano del nostro cammino di vita seminare la speranza. La fede diventa un’opportunità di vita che si nutre di speranza e di bellezza, per fare del mondo un posto migliore, non negli slogan o nei propositi, tantomeno nella rassegnazione, ma nel “fare con ciò che si ha”.
Grazie Cardinal Battaglia, Grazie Don Mimmo di avercelo ricordato con le tue parole e di dimostrarlo sempre con il tuo esempio! Torna presto a trovarci!!!
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