Il commento di Filippo Veltri: "Pd e unanimismo, il rischio di Letta"

Share on Facebook
Share on Twitter
Share on whatsapp
images Il commento di Filippo Veltri: "Pd e unanimismo, il rischio di Letta"
Filippo Veltri
  20 marzo 2021 10:01

DI FILIPPO VELTRI

 Non è l’unanimità ma è l’unanimismo il rischio dal quale è sempre opportuno guardarsi, soprattutto quando alle spalle sopravvivono correnti, inimicizie, vendette, gelosie. Enrico Letta e’ partito invece con la quasi totalita’ dei consensi domenica scorsa alla guida del PD.   Al dizionario Treccani unanimismo recita cosi’: tendenza a comporre formalmente, in sede decisionale di vertice, i contrasti interni.

Banner

  Appunto: formalmente. Visto che Letta nel suo discorso non ha dimenticato nulla: Jacques Delors, Romano Prodi, don Primo Mazzolari, Hannah Arendt, Sartre, l’altro Enrico del sacrario della memoria PCI, Papa Francesco etc etc  Via di questo passo era ovvio il voto plebiscitario. E poi ci ha messo ancora: l’europeismo, la politica delle alleanze, il cattolicesimo popolare, le libertà individuali e la democrazia, la cultura critica e la solidarietà (e qui ancora il Papa con il suo “Da solo nessuno si salva”). Non ha citato Gramsci, uno dei fondatori di questa storia, un intellettuale, un “politico pratico” che potrebbe insegnare ancora molto circa il valore dell’unità e della conoscenza in un “mondo grande e terribile” come il nostro. Ma poi ha ripreso la strada della pappa del cuore con Giulio Regeni, Patrick Zaki e col ringraziamento a medici e infermieri che si sono battuti contro il Covid. Infine – e potevano mancare? – donne e giovani.

Banner

  Sul suo partito e’ stato piu’ netto e convincente: “Non serve un nuovo segretario, serve un nuovo Pd’’. Serve un partito aperto, che sappia costruire alleanze (le vittorie con Prodi sono venute grazie alle intese, alle coalizioni), che valorizzi i circoli (cioè la base) e quanto sta attorno i circoli nel cuore della società, profondamente democratico contro le scorciatoie leaderistiche o contro le scappatoie digitali (tipo piattaforma Rousseau), che stia al governo quando è giusto ma che non abbia timore a porsi all’opposizione (pronto e mai rinunciatario quando si profilano elezioni). “Progressisti nei valori, riformisti nel metodo, radicali nei comportamenti tra di noi...Nel lungo tragitto della vita incontrerai molte maschere e pochi volti” (Pirandello)’’. Riferimento, sotto traccia, all’indimenticabile “stai sereno” di Matteo Renzi.

Banner

  Il punto vero e’, pero’, in quello che abbiamo chiamato unanimismo: lo ha ottenuto da una forza politica dilaniata dalle ostilità tra le correnti, con un segretario (ex, Zingaretti) in ostaggio, massacrato, vilipeso pure dalle donne che non avevano ricevuto il loro ministero. Un paesaggio tetro e minato che avrebbe dovuto conoscere da tempo, visto che tutti ne intuivano i contorni grazie ai grafici pubblicati di tanto in tanto dai quotidiani: correnti e capi corrente con i rispettivi seguaci. Non so quanti conoscano le differenze tra un clan e l’altro. Persino Letta ha, ufficialmente, riconosciuto di capirci poco. Un merito.

  Ora da persona colta, onesta e signorile c’e’ da augurarsi che Letta sappia per il Pd recuperare qualcosa di quella “diversità”, che quell’ Enrico Berlinguer da lui citato spiegava in una illuminante intervista a Eugenio Scalfari, allora direttore di Repubblica, quarant’anni fa (fine luglio 1981). La diversità del Pci, secondo Berlinguer, si misurava nella volontà di contrastare l’occupazione dello stato da parte dei partiti, le distorsioni dello sviluppo economico, i favori a una parte, sempre la solita.

“Noi pensiamo – disse Berlinguer – che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati…”.

  Spero che il senso della sopravvivenza o della rinascita del Pd stia ancora in quella rivendicazione di “diversità” e nel rispetto delle scelte concrete che quella “diversità” impone.

 Il nuovo segretario non può correre – e’ vero - il rischio di ritrovarsi in solitudine, al centro di un gruppo dirigente che ora lo plaude, magari solo a scopo di autoconservazione, al centro di vertici politici (a Roma, come in ogni regione d’Italia), prigionieri di un vizio governista, più che ispirati da una giusta ambizione di governo, prigionieri di compromessi e di “responsabilità” (il guaio della “responsabilità” che diventa “subalternità”) più che ispirati da una idealità. Incapsulati persino nel linguaggio oltre che nelle idee, competenti in formule, più che per autentica adesione alla realtà.

   Ma non puo’ correre nemmeno il rischio opposto, cioe’ della falsa  unanimita’ di facciata. Entri subito nel merito delle cose e forse quelle maschere diventeranno volti. Al di la’ dei plaudenti dell’ultimissima operazione della nomina dei due vicesegretari e dei 16 ingressi in segreteria, che inopinatamente ha visto contenti e felici anche quelli che sono stati cacciati!

Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner