Il Conservatorio di Vibo celebra i 70 anni dalla scomparsa di Torrefranca con il musicologo Renzo Cresti: l'intervista

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images Il Conservatorio di Vibo celebra i 70 anni dalla scomparsa di Torrefranca con il musicologo Renzo Cresti: l'intervista


  02 dicembre 2025 14:54

di SARAH SIBIRIU

In occasione della celebrazione dei settant’anni dalla scomparsa di Fausto Torrefranca, il Conservatorio “Fausto Torrefranca” di Vibo Valentia ha ospitato il Prof. Renzo Cresti, tra i massimi esponenti della musicologia contemporanea, già docente e direttore del Conservatorio “L. Boccherini” di Lucca. L’incontro, moderato dalla Prof.ssa Chiara Macrì, ha offerto un’occasione privilegiata per approfondire la figura e il metodo di Torrefranca, la sua visione critica e il contributo alla storia musicale italiana.

In questa intervista a cura di Sarah Sibiriu, dottoressa in Didattica della Musica e responsabile della comunicazione del Conservatorio, Cresti racconta la sua formazione, riflette sulla musicologia moderna e sulla centralità dell’ascolto consapevole, e condivide impressioni sul Conservatorio di Vibo Valentia e sulla crescita dei giovani musicisti offrendo uno sguardo approfondito sulla figura di Torrefranca.

Potremmo dire che un musicologo sia uno scienziato della musica, uno studioso che attraverso un metodo scientifico si occupa della musica in tutte le sue accezioni, dalla storia alla teoria, all'etnologia. Lei come ha deciso di diventare un musicologo, qual è stata la sua formazione?

«Tu hai citato un aspetto che riguarda molto Fausto Torrefranca quando hai parlato di una musicologia di tipo scientifico. Ebbene, Torrefranca – insieme ad altri colleghi della generazione di fine Ottocento – è stato il primo a creare una musicologia di tipo moderno. La musicologia ottocentesca era una musicologia più fantasiosa, molto legata alla biografia degli artisti, mentre proprio con la generazione di Torrefranca, nato nel 1883, comincia quella che possiamo chiamare musicologia moderna, che poi si svilupperà all’inizio del Novecento fino ai giorni nostri. Le radici di tutto ciò risiedono proprio in questo grande studioso, che voi conoscete bene perché avete intitolato a lui il vostro Conservatorio.

Per quanto riguarda me, ho avuto la grande fortuna di incontrare figure importanti quando ero studente. Alcuni di questi sono Luigi Rognoni, che è stato il primo musicologo a portare in Italia la dodecafonia, e Mario Bortolotto, un punto di riferimento per la musica contemporanea dagli anni Sessanta in avanti. Ho poi studiato con il grande compositore Franco Donatoni. Questi musicisti mi hanno formato non soltanto da un punto di vista strettamente scolastico, musicale e professionale, ma anche dal punto di vista della consapevolezza di che cosa significhi fare musica o, nel caso del musicologo, riflettere sulla musica.

Questo è stato un insegnamento fondamentale, perché credo che la musicologia non possa essere separata dalla vita vera, dalle situazioni reali in cui si incontrano musicisti, pubblico, interpreti. Esiste una musicologia più “algida”, legata alla ricerca, allo studio, alla dimensione di biblioteca; tuttavia, essa ha il grande difetto di rimanere autoreferenziale, perché rivolta a un campo ristrettissimo: quello dei soli musicologi. L’autoreferenzialità andrebbe sempre evitata, e questo lo devo ai miei maestri, appartenenti a una generazione lontana nel tempo – dobbiamo tornare indietro di quarant’anni, cinquant’anni – i quali mi hanno insegnato che è impossibile separare la riflessione sulla musica dalla vita reale. Tutto ciò mi ha portato, in ultima analisi, a seguire soprattutto la musica contemporanea, perché è la musica che avviene mentre noi stiamo parlando, mentre viviamo. Tanti musicisti e tanti compositori riflettono sul nostro tempo, sul nostro esserci nel mondo. La musica ha una capacità molto penetrante perché è un’arte asemantica, gioca molto sull’emotività e sul coinvolgimento sentimentale, e può arrivare in modo diretto e profondo là dove, talvolta, la parola o lo studio fanno più fatica.»

Che consiglio si sente di dare ai giovani musicisti che si approcciano alla musicologia e che la prendono come riferimento per il loro futuro?

«Innanzitutto, di non scoraggiarsi, perché la musicologia è un campo molto ristretto, anche nella sua forma più tradizionale, quella che si occupa del grande repertorio. Le possibilità di lavoro sono relative, quindi bisogna entrarvi preparatissimi: se non lo sei, sei già in qualche modo tagliato fuori. Come dicevo, il campo è molto limitato e, se non sei tra i primi, rischi di rimanere fuori.

Il mio consiglio è dunque di studiare con grande passione e di compiere un’autoanalisi sincera, chiedendosi se questa sia davvero la strada che si desidera percorrere. È fondamentale avere la convinzione interiore che permette di andare avanti anche dopo i primi ostacoli: essere consapevoli, dire a sé stessi “sì, voglio seguire questa strada”, e impegnarsi totalmente, con grande passione. Questa è la base. Poi, naturalmente, è imprescindibile lo studio.»

Fausto Torrefranca è stato un pioniere della musicologia moderna, il suo libello Giacomo Puccini e l’opera internazionale” del 1912 ha forse eclissato gli altri fondamentali contributi di uno studioso colto e raffinato quale Torrefranca?

«Il libello di Torrefranca ha sempre creato polemica tra gli amanti, diciamo ai fanatici, di Puccini. Quando mi venne in mente di riproporre la copia anastatica integrale del testo di Torrefranca, Michele Girardi, fondatore del Centro Puccini a Lucca, mi disse che non era una buona idea temendo possibili reazioni negative. In effetti, alcuni appassionati si sentirono offesi, questo per via di una mentalità provinciale secondo cui ogni critica a un musicista amato deve essere evitata. In realtà, la critica è una ricchezza. Sarebbe un po’ come non leggere Nietzsche solo perché ha criticato Wagner. È una grettezza intellettuale che non vale neanche la pena considerare.

Alla sua uscita, pur dando fastidio a Puccini, che tuttavia non replicò, il testo di Torrefranca ebbe un certo successo e le sue osservazioni rimasero vive per gran parte della prima metà del Novecento. L’autore non tornò mai più su questo argomento, concentrandosi invece sulla sua vera vocazione: lo studio della musica preromantica, di cui è diventato un vero caposaldo.

Un legame personale mi avvicina a Torrefranca: sono fiorentino e lui insegnò negli ultimi anni all’Università di Firenze, dove ebbe la prima cattedra di storia della musica. Il suo assistente, Leonardo Pinzauti, critico della «Nazione», raccontava che Torrefranca era soddisfatto del libro giovanile perché a suo dire aveva spinto Puccini a riflettere sulla propria musica, motivo per cui le opere successive risultarono più curate.

La generazione di Torrefranca guardava con sospetto il melodramma, considerato troppo retorico e sentimentale: Puccini “piagnucolone”, Mascagni, Leoncavallo e le loro “arie gridate” irritavano questi musicologi. Non era solo Torrefranca: tutta la cosiddetta generazione dell’Ottanta - Casella, Malipiero, Pizzetti, Respighi - era più interessata al recupero della musica strumentale italiana preromantica. Dopo Paganini la musica strumentale italiana praticamente scompare e l’opera domina integralmente l'Ottocento, è questo che dava fastidio non solo a Torrefranca ma a tutti quelli che avevano in mente di un recupero della tradizione strumentale italiana.»

Oggi l’ascoltare musica si riduce quasi per la sua totalità ad un ascolto di tipo passivo, che accompagna le attività quotidiane, non richiede particolari abilità e spesso ostacola lo sviluppo di competenze specifiche nell’ascolto, abitua ad un ascolto distratto ed inconsapevole, se non addirittura ad un non-ascolto. Altre volte, l’ascolto è di tipo emotivo empatico che consente una prima forma di fruizione del linguaggio musicale. Tuttavia, il vero ascolto attento e consapevole, il cosiddetto ascolto analitico-strutturale, è relegato solo a una stretta élite di ascoltatori. A cosa può essere dovuto e cosa è necessario fare per invertire la rotta?

«Bella domanda! Oggi la gente è distratta e ascolta in maniera totalmente passiva anche musiche di alto valore. Non è un discorso che riguarda solo il pop: magari entri in un supermercato o in un bar e senti, che ne so, Beethoven, ma l’ascolto rimane comunque quello, un ascolto assolutamente distratto, sia che ci sia una canzone sia che ci sia una sinfonia.

Questo è un discorso molto lungo, perché chiama in causa aspetti molteplici, a cominciare dalla scuola di ogni ordine e grado, dove non si fa musica e, quando la si fa, la si propone, nella maggior parte dei casi, in maniera totalmente ludica. Questo non serve a nulla se vogliamo creare una consapevolezza: bisogna far riflettere su ciò che si ascolta. E questo è un discorso che va addirittura oltre la musica. È molto importante ascoltare: “ascoltare” è un termine etico che diventa fondamentale anche a livello esistenziale. Ascoltare chi ti sta di fronte, ascoltare l’altro. E già questo è un problema, perché c’è un’inflazione dell’ego spaventosa. Dunque l’ascolto, in quanto tale, come ascolto del mondo, è già un problema in sé, e inevitabilmente si lega al problema dell’ascolto musicale.

L’ascolto dovrebbe partire dai giovanissimi, insegnando loro che ciò che hanno di fronte non è soltanto un passatempo, un modo per riempire momenti vuoti con una musica qualsiasi. Il problema non è il genere musicale ma capire che la musica è una cosa seria, qualcosa che ti permette di riflettere sulla tua stessa condizione di vita. Se non lo fai, allora tutto diventa banale, tutto diventa superficiale. E come risolvere il problema? Il problema è serio, perché se riguardasse solo la musica sarebbe già complesso, ma riguarda proprio la società: una società che non ascolta. È un nodo che va oltre le competenze del musicista o del musicologo. Per quanto riguarda il nostro piccolo, credo che l’elemento centrale, il nodo della questione, sia la scuola: è da lì che bisogna partire.»

Lei lavora nei conservatori da oltre quarant’anni. Per la sua esperienza che giudizio si sente di dare al Conservatorio “Fausto Torrefranca” di Vibo Valentia e alla professionalità di chi ogni giorno cerca di dare il proprio contributo alla crescita e all’alta formazione dei musicisti del nostro conservatorio?

«La professoressa Chiara Macrì mi ha invitato a visitare il Conservatorio e devo dire che mi sembra che la realtà che ho trovato è molto positiva. L’iniziativa organizzata in occasione della ricorrenza dei settant’anni dalla scomparsa di Fausto Torrefranca è davvero pregevole, perché non solo dà prestigio al conservatorio, ma anche all’intera città di Vibo Valentia, creando un contesto culturale vivace e stimolante.

Ho avuto modo di conoscere il direttore uscente, il M° Vittorino Naso, percussionista di grande carriera, e il futuro direttore, il M° Francescantonio Pollice, che conosco da anni e che si distingue per preparazione e competenza. La professoressa Chiara Macrì è una vera forza della natura, piena di energia e voglia di fare.

Queste persone, che a mio parere sono straordinarie, lasciano ben sperare per il futuro del conservatorio e rappresentano un punto di forza fondamentale per i ragazzi che si avvicinano all’alta formazione musicale, perché trovano un ambiente non solo serio e preparato ma anche dinamico e stimolante.»

 


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