Circa 200 calabresi hanno aderito al documento per dar vita ad un brainstorming permanente sulla Calabria
08 dicembre 2020 20:02Documento del Coordinamento Brainstorming Calabria.
Dopo tutti i fattacci che hanno coperto di ridicolo la nostra regione abbiamo deciso di dire la nostra.
Siamo calabresi, siamo professionisti impegnati, che hanno speso la maggior parte delle proprie vite a dotarsi di competenze, cultura e capacità.
Ci consideriamo parte di quella “maggioranza silenziosa” di cittadini che cercano di farsi largo nella vita lottando tutti i giorni, senza pietire nulla, senza prostrarsi ai potentati, senza genuflettersi alla politica.
Non crediamo, per questo, di avere qualcosa di speciale. Anzi: cerchiamo di vivere e affermarci con dignità e spesso in silenzio, come fanno tantissimi italiani.
Il massacro mediatico subito in questo terribile novembre dalla Calabria ci costringe a prendere atto che il nostro territorio è privo del tutto di classe dirigente e che dalla politica non può arrivare alcuna risposta.
Ma questo stesso massacro ci stimola a chiamarci fuori. Lo scempio della nostra terra non è colpa nostra, perché non facciamo parte di clientele e di cordate. Perché non ci sfoghiamo sui social invocando giustizie astratte e violente.
No. Noi continuiamo a lottare per avere la dignità che ci spetta. In Calabria e ovunque.
Non parliamo in nome di un orgoglio ferito: sappiamo benissimo quali sono le piaghe che ci affliggono (e qualcuno di noi le ha denunciate a lungo, esponendosi a non pochi rischi).
Noi parliamo sulla base di una consapevolezza che non ha nulla a che fare con i ricordi della Magna Grecia e dei filosofi rinascimentali.
A noi questo revanscismo - ottimo nei cenacoli di provincia ma inutile e irritante nella vita civile - fa sorridere. E, francamente, ci fanno sorridere anche i richiami sociologici alla miseria contadina atavica e al disagio plurisecolare della nostra terra.
La Calabria di oggi è una regione in cui è stato speso molto per dare un minimo di sviluppo, al quale, tuttavia, non è seguita una crescita economica seria.
La Calabria di oggi è la regione in cui maggiori sono stati gli sforzi per sconfiggere l’analfabetismo e che, ciononostante, ha ripreso ad arretrare.
I disastri attuali, culminati nell’ennesima, imbarazzante spallata giudiziaria, ribadiscono una cosa: la Calabria, più del resto del Sud, non riesce a svilupparsi sulla base di spunti autoctoni. Al contrario, ogni impulso di crescita è sempre venuto “da fuori”.
Per questo motivo, ci permettiamo una provocazione: basta con l’identitarismo vernacolare e, come ci ripetevano i maestri delle Elementari vecchio stampo, iniziamo a parlare italiano per davvero, cioè a considerare la Calabria non come il centro dell’universo, sfortunato ma pur sempre centro, ma come una parte normale di un Paese normale in cui condurre un’esistenza normale.
È quel che inizia a capitare anche in Campania, dove l’emergenza criminale, gravissima, non impedisce alle eccellenze di esprimersi. È quel che capita in Sicilia, dove le disfunzioni e la cappa mafiosa non strangolano la società civile come da noi.
Una terra è anche come la racconti. Prendiamo il caso di Camilleri, che attraverso il suo Montalbano ha raccontato per anni una Sicilia bellissima e “normale”, piena di persone normali che fanno cose normali. Anche i crimini, visto che di mafia il grande scrittore siciliano parla pochissimo. Stesso discorso per la Basilicata e, ripetiamo, per la Campania.
Solo la Calabria resta la terra dei boss, dei politici corrotti e corruttori, degli sperperi e delle ruberie. La terra del meridionalismo del pianto e degli abusi.
Se capita tutto questo non è a causa delle prepotenze dei “cattivi”, che ci sono e non sono pochi, ma per le insufficienze dei “buoni”. Non per un eccesso di inciviltà ma per un deficit di società civile.
Ma queste insufficienze, tuttavia, non significano affatto carenze totali. La Calabria offre molti esempi di giovani che si sono dedicati con successo alla micro imprenditorialità, di associazioni che sono riuscite a realizzare - spesso nell’indifferenza e a volte nell’ostilità delle istituzioni e della classe politica che le gestisce - iniziative importanti.
Le potenzialità non mancano e crediamo sia giunto il momento di attivarle, creando una rete che prescinda dalla politica: chi lavora sodo e vuole continuare a farlo e a farlo di più non può permettersi di perdere tempo appresso alle chiacchiere altrui.
Vogliamo far finta che in primavera non ci saranno le elezioni regionali e amministrative di città importanti, l’eterno appuntamento a cui gli ultrà delle clientele affidano periodicamente le proprie speranze.
Invece crediamo che, nonostante tutto, ci siano molte persone che continuano a darsi da fare perché reputano non solo indignitoso ma addirittura inutile appostarsi nelle segreterie e nei cenacoli di un potere che può sempre meno.
Ci rivolgiamo a loro. Facciamo rete. Dialoghiamo. Scambiamo esperienze. E voliamo alto. Se la Regione è in deficit, se la classe politica è sempre più modesta e incapace di gestire i rapporti col centro, interfacciamoci direttamente con l’Europa.
Non lasciamo più le istituzioni europee in mano di chi le ha considerate (e usate) finora solo come bancomat. Impariamo a capire cosa possiamo fare noi, come cittadini italiani, e quali diritti veri possiamo esercitare attraverso l’Ue.
Chiediamo ciò che ci spetta davvero ed è realisticamente realizzabile. Ad esempio, chiediamo infrastrutture decenti che possano mettere fine a un altro paradosso: la Calabria, grazie all’Europa vituperata da troppi, è la regione d’Italia più cablata ma, allo stesso tempo, è la regione peggio collegata.
Uscire dalla Calabria o entrarvi costa di più e richiede più tempo rispetto a tutto il resto del Paese, con la sola eccezione della Sardegna.
E questo gap ha delle ricadute pesantissime: un milanese che lavora a Londra, a Parigi o a Berlino è “uno che lavora fuori”, perché in teoria può rientrare tutti i week end. Un calabrese che vive in un’altra parte del Paese è condannato tuttora a essere un migrante, costretto a subire, in alcuni casi, veri e propri viaggi della speranza.
Sorvoliamo l’aspetto sanitario, perché va davvero oltre le nostre forze. Ma siamo sicuri che anche in questo settore tragico ci siano esperienze e buone pratiche da condividere.
Non siamo rivoluzionari. O forse sì, ma in un senso diverso da quello che in tanti urlano sui media. Aspiriamo a una normalità che ci consenta di esprimere le nostre capacità come vogliamo e possiamo e desideriamo diffondere questa aspirazione e questa consapevolezza tra più persone possibile.
Iniziamo con questo messaggio nella bottiglia il nostro brainstorming sulla Calabria.
Il futuro non aspetta più nessuno: non i salvatori della patria venuti da fuori a liberarci da noi stessi, non i luddisti della rete.
Il futuro è adesso. Il futuro è quello che ci sapremo costruire. Non ci sono alternative, se non due: cominciare a fare qualcosa davvero e ricostruire dalle fondamenta la società calabrese o continuare ad andar via e unirci alle 200mila persone che lo hanno fatto negli ultimi dieci anni.
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