"Il sindacato COSAP ha sempre espresso contrarietà alla disciplina obbligatoria del Green pass, esprimendo dubbi circa l’esistenza dei necessari requisiti di ragionevolezza e proporzionalità che devono caratterizzare ogni norma di legge, a maggior ragione quando questa risulti significativamente limitativa di diritti e libertà costituzionalmente garantiti. Cionnondimeno, ha sempre ribadito, con analoga convinzione, che la legge, anche se ritenuta 'ingiusta', da parte delle forze di Polizia va comunque osservata e fatta osservare, senza però precludersi mai la possibilità di utilizzare gli strumenti che l’ordinamento riconosce ad ogni cittadino, poliziotti compresi, al fine di esprimere il proprio dissenso e contribuire, se possibile, ad una modifica della stessa".
Lo scrive il segretario generale nazionale del Cosap Sergio Scalzo in un documento inviato al presidente del Consiglio dei ministri, al ministero dell'Interno, al Senato e alla Camera.
"Ci piace pensare che una Polizia che voglia definirsi autenticamente “moderna”, oltre che alla difesa dell’ordine costituito, debba operare proprio a tutela dei diritti dei cittadini, nella piena consapevolezza che, talvolta, possa essere costretta ad utilizzare strumenti coercitivi usando la forza e mai la violenza. Una siffatta Istituzione sarebbe cioè dotata di una doppia legittimazione, dall’alto e dal basso, il che rappresenterebbe un compito gravoso e mirabile, pur se non privo di asperità e difficoltà. Per tali motivi, riteniamo opportuno, dopo i recenti episodi, rimarcare quanto già segnalato, con la precedente missiva, circa la necessità di un ripensamento sulla disciplina complessiva del Green pass e sulle sue concrete modalità di attuazione. Assistiamo a continue manifestazioni caratterizzate non dalla presenza di esaltati e facinorosi, che pure spesso riescono ad insinuarsi, ma da gente comune, padri di famiglia, donne con bambini ed anziani".
"Quando il malcontento cresce, inevitabilmente si creano tensioni sociali che richiedono l’intervento della forza pubblica, ma queste, paradossalmente, possono addirittura finire per alimentarlo, ogniqualvolta l’uso della forza rischia di essere percepito come ingiustizia dalla maggioranza dei partecipanti. Molti colleghi sono chiamati a respingere, disperdere, allontanare e contrastare manifestanti motivati da esigenze che loro per primi comprendono, e l’essere poi additati dalla pubblica opinione come “violenti” (quand’anche si stia esercitando l’uso legittimo della forza) non fa altro che compromettere quella legittimazione, o percezione di essa, tra gli operatori, i cittadini e lo Stato. Su questo sfondo ritornano prepotenti le ineludibili domande da noi già poste: a cosa serve questa estenuante prova di forza? Ma veramente si vuole “stravincere”? Ci si rende conto che così facendo si corre il rischio di buttare via il bambino con l’acqua sporca?! Ora, più che mai, sembra proprio sia arrivato il momento di fermarsi un attimo, ragionare e (perché no?) aprire un dibattito. I muri non servono mai a niente, specie il muro contro muro. I blocchi, in tutti i campi, creano solo lesioni, fratture, incomprensioni, distanza, avversione, guerre. La forza della democrazia, che indubbiamente pervade le nostre istituzioni, spinge sì verso ponderate decisioni, ma solo all’esito di un grande dibattito, della diffusione di informazioni, notizie e conoscenze, non nella confusione e nel marasma generale, in cui purtroppo a volte annaspiamo".
E ancora. "Non ci si meravigli - aggiunge Scalzo - se personaggi autorevoli del mondo della cultura, come Alessandro Barbero, Massimo Cacciari, Gianni Vattimo ed altri, ritengono doveroso intervenire sui rischi che comportano talune limitazioni delle libertà e ci mettono in guardia rispetto alla protratta sospensione di taluni diritti primari, in nome di plurime, susseguenti emergenze. E ci sia consentito: anche nel mondo della Polizia si possono levare appelli accorati al rispetto di certi diritti, non solo da quello della magistratura, del giornalismo o di altri ordini professionali. Perché, ricordiamocelo, quando non siamo di turno, pur “essendo sempre in servizio”, abbiamo la facoltà, se non il dovere, di partecipare al movimento fervido della società civile. È evidente che quando parliamo e (perché no?) saliamo su un palco, decliniamo la nostra professione (mica siamo sottovuoto!). Ma questo non lo facciamo perché stiamo operando da poliziotti, ma semplicemente perché il nostro background culturale, etico e tecnico è intrinseco anche alla nostra stessa professione. In altri termini, quando qualcuno parla, si presenta come individuo caratterizzato, con una sua precisa identità. Così, come un magistrato si esprime pubblicamente riguardo all’inopportunità di talune norme sostanziali e processuali (talvolta già legiferate), così, come uno scienziato della medicina o di altre branche esprime perplessità su alcune fonti positive del diritto, allo stesso modo, un esponente qualificato delle forze dell’ordine può esprimere un parere, tipico di chi ha esperienza e conoscenza. Per carità, chiunque può commettere errori o esagerare, ma anche qui bisogna fare attenzione, evitando di disconoscere l’importanza primaria delle questioni poste in essere, concentrandosi su aspetti secondari, marginali e “formali”."
"Al Cosap piace pensare che tutti i cittadini perbene (che lavorano, che hanno fatto rinunce per il proprio Paese, sacrifici, assumendosi talvolta dei rischia di non poco momento) quando, spinti dall’afflato di giustizia, vanno fuori dalle righe, possano trovare una mano tesa, non fosse altro per quell’antica, quanto mai attuale frase: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Vivaddio, piuttosto che reprimere severamente i cittadini, che compongono il popolo italiano, occorrerebbe che ci si interrogasse sulla gestione della cosa pubblica e delle amministrazioni, in questo Paese. Quando si maneggiano i diritti individuali costituzionalmente garantiti e si toccano sensibilità civili e giuridiche, sarebbe opportuno avere prudenza e comprensione: le lapidazioni mediatiche e interne ci riportano alla memoria la famosa espressione di Gesù sulla prima pietra da scagliare. Intelligenti pauca! Non è mai ridondante ricordare che non è il dito a cui dobbiamo guardare, ma è la luna che indica, altrimenti piuttosto che levare lo sguardo ed i pensieri verso l’alto, ci accartocciamo, pedestri, schiacciati dalla forza di gravità massimalista".
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