Il documentario “Askòs, il canto della Sirena” trionfa al Firenze Archeofilm: parla il regista Antonio Martino

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images Il documentario “Askòs, il canto della Sirena” trionfa al Firenze Archeofilm: parla il regista Antonio Martino

  14 marzo 2024 20:05

di CARLO MIGNOLLI

Il documentario "Askòs, il canto della Sirena" continua a riscuotere successi, aggiudicandosi il prestigioso premio "Università di Firenze" alla VI edizione del Firenze Archeofilm, tra 88 film in gara. Diretto da Antonio Martino, scritto con Francesco Mollo e prodotto da Lago Film in collaborazione con Solaria Film, il documentario narra le vicende del ritorno in Italia, a Crotone, di un importante reperto archeologico trovato a Strongoli, l’Askòs, dopo un complesso percorso giudiziario e diplomatico con gli Stati Uniti.

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Il premio è stato assegnato al documentario per la sua abilità narrativa, forza visiva e coinvolgimento emotivo nel raccontare la rocambolesca vicenda del reperto. Attraverso un attento montaggio di materiali d'archivio, interviste e immagini evocative, l’opera vuole comunicare il profondo legame tra il bene archeologico e la terra che lo ha custodito, dimostrando il ruolo cruciale che l'archeologia può giocare nel consolidare l'identità culturale di un territorio e nel rafforzare i legami tra le comunità locali.

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"Askòs, il canto della Sirena" continua così a ottenere riconoscimenti per la sua capacità di trasmettere la bellezza e l'importanza del patrimonio archeologico italiano. Il regista Antonio Martino ha raccontato la sua esperienza nella realizzazione del documentario ai microfoni della nostra redazione.

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Come è nata l'idea di focalizzarti sull'Askòs e sulla sua storia per il tuo documentario?

«Parliamo di uno dei reperti più particolari di tutta l’archeologia italiana perché testimonia la presenza di Pitagora a Crotone. Noi non possediamo nulla di Pitagora, a parte delle lamelle in oro trovate sul Tirreno. Sostanzialmente non abbiamo delle prove precise che Pitagora ebbe la scuola a Crotone, dobbiamo fidarci dei racconti dei posteri. L’Askòs rappresenta la sirena dell’antico Egitto,  l’Arpía, quindi metà donna e metà uccello, come nel caso dell’Askòs di Crotone, ma con un’aggiunta: la sirena in questo caso tiene in mano un melograno e un flauto, in rappresentanza delle sirene che cantavano ad Ulisse, per convincere gli uomini a compiere determinate azioni».

Qual è il messaggio principale che hai voluto comunicare attraverso questa tua produzione e perché ritieni che sia importante condividerlo con il pubblico?

«Dopo un lungo studio affrontato con Francesco Mollo, abbiamo voluto associare il messaggio ammaliante della sirena che canta per ingannarti agli ultimi sessant’anni del territorio crotonese. Abbiamo messo in relazione l’archeologia industriale con quella classica, cioè il ritrovamento di questa sirena negli anni ‘80, per noi ha rappresentato la fine di quel ciclo di industrializzazione che iniziò timidamente negli anni ‘30, ma che poi venne sviluppato negli anni ‘50 e ‘60, con la devastazione di tutto quello che non era moderno. La sirena ha ingannato i crotonesi con il suo canto, facendoli investire nel progresso con la promessa della felicità, ma sacrificando delle proprie radici. Il territorio e il mare, le ricchezze del territorio, oggi si trovano inquinati proprio a causa del progresso. Oggi abbiamo un eccesso di progresso e non sappiamo dove ci porterà, quale sarà il prezzo da pagare? Oggi, con il ritorno dagli Stati Uniti della sirena a Crotone, viviamo il crepuscolo della città, il quale precede sempre una rinascita»

Quali sfide hai affrontato durante la produzione del documentario e come le hai superate anche grazie all’aiuto del giornalista Francesco Mollo?

«Con Francesco abbiamo superato tante sfide. Quando si tratta di affrontare argomenti come il nostro, bisogna inevitabilmente parlare con persone che fanno parte del mondo della criminalità, perché anche chi va a scavare con dei metal detector è considerato tale. È stato quindi molto difficile trovarli, ma fortunatamente ci siamo riusciti. Abbiamo parlato con due di loro, i cosiddetti “tombaroli calabresi”, appassionati talmente tanto che possono essere considerati grandissimi esperti in materia. Loro ci hanno aiutato molto nelle ricerche. Allo stesso tempo anche l’apporto del Nucleo dei Carabinieri di Cosenza è stato incredibile. Quindi la sfida maggiore è stata quella di avere uno sguardo attraverso questi due mondi contrapposti».

Qual è stata la parte più gratificante nell’aver realizzato questo documentario?

«L’aver dato voce ad un personaggio molto controverso come Raffaele Malena è sicuramente uno degli aspetti più gratificanti. Nel corso della sua carriera ha acquisito una grandissima cultura, che però va di pari passo con le denunce. All’inizio non era molto propenso a parlarci, ma alla fine si è raccontato. La soddisfazione più grande è stata quella di aver compreso sociologicamente, antropologicamente e filosoficamente quello che è stato un periodo che ho osservato da ragazzo, avendo vissuto sì i clamori del benessere crotonese, ma soprattutto la decadenza».

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