“Aveva solo sei anni e si chiamava Anàs il bimbo trovato nel Golfo di Sant’Eufemia. Il corpo restituito dal mare di Lamezia ha un nome e una storia: quella di tante persone – uomini, donne, bambini e bambine - che sfidano la sorte per cambiare il proprio destino, che guardano con occhi pieni di speranza ad un viaggio difficile come traguardo per una vita migliore. Anàs era solo un bambino che meritava di vivere e sognare come tutti i bambini del mondo, e invece ha finito la sia corsa tra le acque del Mediterraneo. Questo dolore non può scorrere invano come l’acqua”. È quanto afferma Giovanni Amendola della segreteria confederale della Cgil Area Vasta Catanzaro-Crotone-Vibo.
“Il dramma di Anàs e di tutte le persone che non riescono a sopravvivere alle traversate in mare deve aprire una riflessione seria sulla necessità si superare in maniera inequivocabile la legge Bossi-Fini – afferma Amendola -. È una questione di civiltà: il quadro legislativo in materia di immigrazione deve modificato. Va scardinata la convinzione che mettere mano a questa legge non farebbe altro che aumentare gli “arrivi” alimentando il rischio dell’“invasione”. La strage di Cutro e quella avvenuta poche settimane fa sulle coste calabresi sono state tra le più sensazionali per il numero elevato di vittime, ma ogni giorno avvengono tragedie silenziose nei nostri mari. La politica dovrebbe fare i conti con il fallimento della Bossi-Fini che negli anni ha solo aumentato sfruttamento e violazione permanente dei diritti umani, causando decine di stragi in mare molte delle quali rimaste sconosciute, e intervenire in maniera razionale e veritiera sulle politiche migratorie”.
“Servirebbero anche innovazioni nella gestione del fenomeno e nella programmazione dei flussi, perché proprio l’immigrazione “legale” può rappresentare una risorsa per il nostro Paese, e uno strumento per contrastare caporalato e lavoro nero. Giusto per citare un esempio ma senza la volontà politica e interventi concreti continueremo solo ad indignarci e addolorarci davanti all’ennesima storia di vite spezzate”, conclude Amendola.
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