Nel contesto del monitoraggio dei luoghi di privazione della libertà personale il Garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale,
Luca Muglia, ha visitato nei giorni scorsi la Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza di Santa Sofia d’Epiro, unitamente al Garante della Provincia di Cosenza, Francesco Cosentini.
All’incontro erano presenti il Direttore sanitario della Rems Patrizia Nicotera, il Coordinatore delle
strutture sociosanitarie della Cooperativa sociale “Il Delfino” e referente dell’ente gestore Gianfranco Tosti, l’educatrice e Coordinatore dell’equipe Giovanna Mele, la psicologa Maria Canadè, l’assistente sociale Federica Calabrese, l’infermiere Franco Pellegrino, l’educatrice Ilaria Ceramella, gli Oss Antonello Nigro e Janeth Garcia.
La residenza ha raggiunto la capienza massima di 20 posti.
“Durante la visita –” ha dichiarato il Garante Muglia –
“abbiamo avuto occasione di intrattenerci e
colloquiare con i responsabili della struttura al fine di intercettare le carenze e i bisogni,
riscontrando un clima positivo tra le professionalità operanti e un approccio interdisciplinare e
sinergico. Nell’incontro sono emerse varie criticità, alcune delle quali già segnalate dalla Rems. Non
a caso il referente dell’ente gestore, di concerto con il Direttore sanitario, ha rinnovato di recente la richiesta di adeguamenti tecnico-strutturali alle autorità preposte”.
“Personalmente” – ha precisato il Garante regionale –
“reputo indispensabili alcuni interventi.
Occorre potenziare l’organico, dotandolo di un tecnico della riabilitazione psichiatrica e garantire
la disponibilità di una camera di decompressione (cosiddetta “de-escalation”), atteso che quella
esistente è occupata dal ventesimo paziente. La sala in questione, da realizzare in ottemperanza alla
normativa vigente, lungi dall’essere utilizzata ai fini della contenzione fisica è in grado di tutelare il
paziente che pone in essere comportamenti auto od etero aggressivi. Invero, attualmente, laddove le
strategie di negoziazione non sortiscano effetti positivi, in assenza di una camera di decompressione
da utilizzare per il tempo minimo della crisi, il personale si vede costretto ad attivare la procedura
per il trattamento sanitario obbligatorio del paziente. Tale evenienza, a dir poco invasiva, andrebbe
scongiurata e praticata solo come extrema ratio. Necessita, altresì, implementare i programmi
riabilitativi e formativi, individuali e di gruppo, finalizzati all’acquisizione o al recupero delle abilità
sociali e attrezzare l’area esterna per le attività ricreative ed i colloqui con i familiari. Occorre
immaginare, infine, modifiche importanti alle barriere esterne, capaci di ridurre gli effetti negativi
dell’impatto emotivo. Nei prossimi giorni attenzionerò le questioni indicate agli organismi sanitari
regionali e alle autorità istituzionali competenti”.
“L’internamento nelle Rems”
– ha concluso il Garante regionale –
“riveste carattere transitorio ed
eccezionale, applicabile solo nei casi in cui sono acquisiti elementi dai quali risulti che è la sola
misura idonea ad assicurare cure adeguate ed a fare fronte alla pericolosità sociale dell'infermo o
seminfermo di mente. Ciò premesso, si tratta di conciliare le esigenze di sicurezza con il diritto alla cura ed al reinserimento sociale dei pazienti psichiatrici autori di reato, rammentando che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità la salute mentale è un diritto umano fondamentale”
.
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