Di FRANCESCO PACILE’
Il barbaro omicidio della giovane Lorena (studentessa di medicina presso l’Università di Messina che presto verrà onorata con la laurea honoris causa), al pari della scoperta di gruppi Telegram (“stupro tua sorella” giusto per fare un esempio) in cui orde di maniaci (non si possono definire diversamente) praticano il così detto stupro virtuale su foto private di ragazze spesso minorenni (è bene ricordare che tale comportamento, meglio conosciuto come “revenge porn”, è punito dalla legge italiana con la pena massima di 6 anni), ci ricorda ancora una volta come la questione della violenza sulle donne, al pari della parità di genere, sia un problema politico e sociale ancora irrisolto nel nostro Paese ed in particolar modo nella nostra Regione.
Secondo i dati Istat, in Italia il 31,5% delle donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni (6 milioni 788 mila persone) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
Questo dato è a dir poco allarmante, se consideriamo anche che l’Italia è quel Paese dove le donne guadagnano mediatamente il 23 % in meno rispetto agli uomini.
I due dati, che apparentemente e superficialmente potrebbero sembrare slegati, sono un monito di quella che è la condizione della donna in Italia.
In barba ai tanti principi internazionali e costituzionali (primo tra tutti l’articolo 3 della nostra Costituzione), le donne vivono purtroppo una condizione di minorità rispetto agli uomini.
L’esempio di quanto poc’anzi affermato passa inevitabilmente da ragionamenti/comportamenti goliardici (che goliardici poi non sono) che quotidianamente il genere maschile fa nei confronti del genere femminile.
Quanto volte le donne sono state giudicate in base al loro abbigliamento o in base al loro modo di parlare? Quante volte le donne sono state costrette a cambiarsi da genitori, amici o fidanzati gelosi? Quante volte le donne non hanno potuto frequentare questa o quella compagnia perché “sconveniente”?
Le logiche che muovono questi atteggiamenti, che nei casi patologici possono sfociare in forme gravi di violenza fisica o psicologica, sono alla base di una concezione patriarcale della donna nella nostra società.
Come rimediare a tutto questo?
Chi scrive pensa che la lotta contro la violenza e per la parità di genere, sia la principale battaglia contro le diseguaglianze sociali nel nostro Paese ed in particolar modo in Calabria.
Pensare ad un mondo in cui donne e uomini camminino fianco a fianco, consapevoli che la peggior forma di sfruttamento è quella di genere, non deve essere solo un mero esercizio di retorica, ma anche una pratica costante da portare avanti a tutti i livelli di governo.
In che modo? Le proposte per fortuna non mancano.
Certo partire dalla risoluzione del gender gap (specie per quanto la parità di retribuzione) così come da una seria riforma che introduca l’educazione sessuale e sentimentale in tutte le scuole di ogni ordine e grado, aiuterebbe molto la causa.
Tuttavia la vera rivoluzione non può che passare da un cambio di mentalità in capo a noi uomini.
La battaglia per l’uguaglianza sostanziale tra uomo e donna, in famiglia, nella coppia e suoi luoghi di lavoro, non potrà essere vinta fintanto che non vi sarà una presa di coscienza in capo al genere maschile, che le donne non sono un oggetto di proprietà privata, ma soggetti portatori di diritti.
Il mondo nuovo a cui bisogna ambire, non dovrà essere solo un mondo dove nessuno viene lasciato indietro, ma anche un mondo dove le donne non abbiano più timore di esprimersi per quello che sono e vogliono diventare.
Un grande statista italiano affermava che “Non è libero l’uomo che opprime la donna” così come sosteneva “Che (…) la rivoluzione potrà esserci solo se essa sarà anche rivoluzione femminile, che senza rivoluzione femminile non ci sarà alcuna reale rivoluzione.”
Portiamo dunque avanti questa rivoluzione! Nel nome di Lorena e di tutte quelle donne che subiscono quotidianamente violenza da questa società diseguale e profondamente ingiusta.
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