di MARCO AZZARITO CANNELLA
Da qualche giorno sta facendo scalpore un video girato all’interno di una sala operatoria, nel quale un medico chirurgo, professore di chirurgia generale, rimprovera in maniera veemente una giovane assistente, rea di non aver fornito le necessarie indicazioni in merito ad un intervento chirurgico, lungo e complesso.
Mi dispiace per gli indignati e per chi non sarà d’accordo con quanto dirò, ma io sto dalla parte del professore. Non si può essere leggeri in sala operatoria e non ci si può permettere il lusso di non sapere quello che si sta facendo.
Va bene tutto. I modi non saranno stati il massimo dell’eleganza, mettiamoci anche che l’assistente fosse donna (che di questi tempi va tanto di moda), che il web è pieno di leoni da tastiera, ma da qui a far passare il concetto che il capo equipe di un complicato intervento chirurgico, responsabile anche dell’aria che si respira in sala, abbia realizzato una “violenza verbale” per aver apostrofato una collega che, a suo parere, non ha saputo fare il lavoro richiesto, mentre il paziente sotto i ferri rischiava concretamente la vita, con il termine imbecille, mi pare davvero ridicolo.
A tutti i finti perbenisti, nell’Italietta malata di politicamente corretto in cui ci ritroviamo a vivere, dove perfino esprimere un parere colorato è diventato violenza, vorrei ricordare che il termine imbecille, deriva dal latino imbecillis e, nella lingua italiana, altro non è che un titolo ingiurioso, rivolto a chi, nelle parole e negli atti, si mostra poco assennato o da ignorante. Null’altro di diverso da quello che sembra essere successo.
Sembra, perché nessuno di noi era in quella sala. E, in tutta onestà, mi pare ingiusto e riduttivo giudicare negativamente, sulla base dei pochi secondi ripresi da un telefono, la reazione di pancia di un medico davanti ad una palese negligenza di una collega, dopo aver eseguito un intervento di cinque ore, con la pressione di non poter sbagliare nemmeno di un millimetro. Che poi bisognerebbe chiedersi cosa ci fa un telefono, e le migliaia di batteri che trasporta, in una sala operatoria. Ma questa è un’altra storia.
Una cosa è certa. Se sotto i ferri ci fossi stato io, avrei preferito mille Giuseppe Sica. Poco elegante, certo. Ma così responsabile da rivolgersi a chi sbaglia senza fronzoli e da ricordargli, senza filtri, che quando si ha tra le mani la vita delle persone, serve attenzione, preparazione e grande professionalità. Punto.
Ed invece, il prof. Sica si ritrova addosso la stampa, l’ordine dei medici, la regione Lazio e l’università Tor Vergata. Ma fatemi il piacere. E poi c’è anche chi ha il coraggio di lamentarsi della malasanità.
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