di MARCO AZZARITO CANNELLA
Qualche mese fa ho letto un romanzo bellissimo. Lo ha scritto un premio Nobel, talento straordinario, scrittura che definirla creativa è quasi un’offesa, ritmo incalzante ed emozioni a profusione.
Un romanzo senza nomi, senza paragrafi, con poche virgole e senza punti. Leggerlo non è stato facile, ma la storia era così affascinante che non sono riuscito a staccare gli occhi dalla carta, fino all’ultimo foglio.
Da lasciarti senza fiato.
Dopo un centinaio di pagine, un lettore attento capisce anche perché l’autore ha intenzionalmente deciso di non dare nomi e cognomi ai suoi personaggi, uno scrittore in erba come me, si rassegna anche. Non sarà mai così bravo a raccontare le fragilità umane come quel portoghese con gli occhiali spessi e dalla penna così veloce, da sembrare vera. Saramago racconta della cattiveria umana in un modo così dannatamente normale che quasi fai fatica a credere che, dopotutto, le parole stampate non sono poi così lontane dalla realtà di tutti i giorni.
Perché non c’è essere, sulla faccia della terra, più spietato dell’uomo.
Certo, direte voi, ci sono animali feroci, che fanno paura, che sbranano le proprie prede senza badare a quanto siano deboli o piccole. Eppure, persino per loro, ho una giustificazione.
Lo spirito di sopravvivenza, quell’istinto innato di rimanere attaccato a questa vita, con quello che si ha. Vale per tutti, ma non per noi. Cosa può mai giustificare la perfidia umana? Onestamente non lo so. Quello che so è che la crudeltà si annida in noi fin dal primo respiro e conosce sempre il modo di reinventarsi.
L’ultimo caso, in ordine cronologico, ha un nome e un cognome, sconosciuto alla stampa, ma che identifica un ragazzino di 17 anni - ancora minorenne - che ha confessato di aver ucciso una donna molto più grande di lui, dopo averla adescata su un sito di incontri.
L’ha uccisa a mani nude, soffocandola, senza nessuna ragione in particolare. Per sapere cosa si prova ad uccidere un proprio simile.
Come una bestia, anzi no. Come un semplice uomo.
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