Il Marcodí: “La banalità del male”

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  03 settembre 2024 16:10

di MARCO AZZARITO CANNELLA

Io non lo so cosa può spingere un ragazzino, ancora nemmeno adulto, ad uccidere la propria famiglia. Non sono uno psicologo e nemmeno un pubblico ministero. Non è mio il compito di indagare le cause e di scoprire i motivi. 

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Quello che so è che, come diceva Stefano Accorsi in uno dei più bei monologhi del cinema italiano, questa generazione, ha un buco grosso dentro, e non sa proprio come riempirlo. 

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Ne parlavo qualche giorno fa, in un incontro intergenerazionale, dedicato ad un libro dal titolo emblematico: un giorno tutto questo dolore ti sarà utile.

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La storia del romanzo, per alcuni versi, somiglia tanto a quella del giovane di Paderno Dugnano: entrambi i protagonisti delle vicende, quella reale e quella di fantasia, vivono una sensazione di estrema solitudine, anche in mezzo agli altri.

È forse questo il male dei nostri ragazzi. La solitudine.

Non sanno più comunicare, passano le loro giornate dietro lo schermo di uno smartphone, pensano che la vita sia quella che seguono sullo schermo illuminato dalle foto e dai video di un social network.

Non leggono (i più), non parlano, non viaggiano e soprattutto non vivono.

Il mondo in scatola che abbiamo confezionato per loro, non li ha abituati alle difficoltà quotidiane e quando qualcuna si presenta inaspettatamente sul percorso, crollano, vanno in crisi come bambini, con corpi da grandi. 

O forse no. Forse è tutto molto più facile. Sono semplicemente più cattivi e insoddisfatti di quello che pensiamo, ma nel nostro cieco egoismo, per ogni gesto, anche quello più scellerato, sentiamo il bisogno di trovare una giustificazione, per dare una falsa risposta al nostro più grande fallimento.

Sono un po’ combattuto. Non le nego. Non so se abbiamo davvero sbagliato tutto oppure no. Non so più se gli sbagliati siamo noi o loro.

Non fraintendetemi. Non voglio certo dire che tutti i ragazzi e tutte le ragazze di oggi soffrano di mal di vivere e siano orfani di responsabilità. Né che questi problemi non abbiano riguardato anche la mia generazione e quelle passate. Le stragi famigliari, per dirne una, erano presenti anche durante la mia adolescenza.

Ma rispetto al passato c’è una grande differenza. Una volta si trattava di eccezioni, casi isolati. Oggi sta diventando, purtroppo, la normalità. O, peggio, una banalità alla quale non possiamo proprio abituarci.

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