Il Marcodì: "Questione di metodo"

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Il Marcodì
  13 luglio 2025 11:46

di MARCO AZZARITO CANNELLA

Questa volta non sono d’accordo.

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Non condivido l’iniziativa, messa in scena da alcuni maturandi, di rinunciare a sostenere la prova orale del proprio esame di maturità, per protestare contro il “sistema”.

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Mi verrebbe da chiedere loro, ma esattamente quale è il sistema contro il quale protestate? Quello meritocratico, per il quale intere generazioni si sono battute? O quello scolastico, che misura le conoscenze (e non le capacità, a quanti risuona ancora nelle orecchie la favoletta del “ha le capacità, ma non si applica”) con i numeri?

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Perché, in tutta onestà, io non trovo nulla di sbagliato nell’esame di maturità e non riesco a vedere quale sia il problema dell’assegnare ad un alunno meritevole il voto cento e, ad uno meno meritevole, quello di sessanta.

Ben venga. Anzi. Davanti a generazioni abituate ad avere tutto e subito, a pretenderlo con arroganza, senza sacrificio e senza sforzo, a pensare che tutti siano uguali, a prescindere dall’impegno e dall’applicazione, ben vengano le valutazioni, ben vengano i giudizi, ben vengano le bocciature (queste sconosciute).

E sì, condivido – incredibilmente – la tesi del ministro Valditara di bocciare chi si rifiuta volontariamente di sostenere il colloquio con la commissione d’esame.

La scuola è un’istituzione. E troppo spesso dimentichiamo che le istituzioni si rispettano e se non si condividono, democraticamente se ne chiede la riforma.

E non pensate che io sia di parte o che non abbia avuto i miei scontri studenteschi ai tempi del liceo.

Anche io, tanti anni fa ormai, litigavo con un professore. Quello di italiano e latino.

Qualunque cosa scrivessi, qualunque cosa facessi, in qualunque modo esponessi gli argomenti e le tematiche, per lui meritavo sempre lo stesso voto: un sei, che poteva diventare, nelle giornate di buona, sei e mezzo.

Non ho mai pensato di non sottopormi all’esame di maturità, al contrario è diventato per me una sfida personale e ricordo ancora l’incredulità della componente esterna di commissione, quando nel commentare il mio compito, mi disse che non riusciva a capire come fosse possibile avere un voto di ammissione così basso davanti ad un saggio così valido.

Per inciso, al mio compito di italiano ho preso il massimo, quindici, la commissione di maturità mi ha licenziato con cento centesimi e quella universitaria con centodieci e lode.

Oggi scrivo quotidianamente, ho pubblicato un libro, un altro è quasi pronto e la mia rubrica ha un discreto seguito.

Quei numeri e quelle valutazioni, qualcosa hanno significato. Perfino quei sei ripetuti.

Mi hanno insegnato, per esempio, che non si può piacere a tutti e che, specialmente quando non si è apprezzati, bisogna impegnarsi ancora di più, senza scorciatoie e senza trucchi, per dimostrare che a sbagliare è il giudicante, non il giudicato. O anche questo è colpa del sistema?

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