“Il momento emergenziale che stiamo vivendo non giustifica quanto paventato in tema di misure urgenti per la Giustizia penale”. Anche il Movimento Forense, a livello nazionale, nei giorni scorsi, con un comunicato a firma degli avvocati Massimiliano Cesali (Presidente nazionale) e Vittorio Ranieri (Responsabile del Dipartimento Penale di MF e presidente della sezione catanzarese), è intervenuto nel dibattito sulla sorte del processo penale alla luce dell’emergenza Covid, “la cui completa “smaterializzazione” – si legge in un documento -, senza criterio, va nella contestata direzione indicata dal Guardasigilli che, dopo la riforma della Prescrizione, anche in questo caso non sembra tener conto dei principi di garanzia. Il rapporto diretto e personale tra avvocato e cliente (indagato, imputato, ristretto o meno che sia), l’oralità e la partecipazione fisica all’udienza, l’interazione tra le parti del processo, la necessità di “guardarsi negli occhi al fine di cogliere la attendibilità o meno delle dichiarazioni rese” tra le parti processuali, in considerazione della posta in gioco - la libertà dell’individuo - non consentono affatto di tenere le udienze da remoto. Il Movimento Forense evidenzia come occorra contemperare il diritto alla salute, il diritto alla libertà ed al giusto processo, tutti diritti inviolabili costituzionalmente garantiti, ma nessuno in assoluto superiore agli altri. Tutti e tre, infatti, hanno uguale pregio e tutela”.
Sul punto, l’avvocato Vittorio Ranieri, interpellato da La Nuova Calabria, sottolinea come “sono ampiamente condivisibili e da sostenere le argomentazioni dell’UCPI nonché la presa di posizione del COA di Catanzaro che grazie all’attivismo del nostro presidente Antonello Talerico, facendo fronte comune con la Camera Penale “A. Cantafora” guidata da Massimo Scuteri, ha detto no al processo da remoto”.
“Il direttivo nazionale di MF – spiega l’avv. Vittorio Ranieri -, sempre nei giorni scorsi, ha poi evidenziato come l’attuale periodo può favorire una svolta telematica del settore penale colpito più di altri ambiti, proprio perché ancora prevalentemente cartaceo, dal fermo dei Tribunali a causa del pericolo contagio. Ecco perché si auspica che talune prassi adottate nel periodo emergenziale, senza però toccare e intaccare il processo, possano diventare definitive, finalizzate ad una migliore operatività e praticità ed a un minor costo nell’interesse della giustizia. Presupposto indefettibile è che la disciplina dovrà essere omogenea e applicata in tutto il territorio nazionale mediante l’utilizzo dei medesimi supporti informatici. Quindi, consentire che tutti i depositi, nell’interesse di indagati o imputati, siano effettuati a mezzo PEC. E ciò, quindi, anche nel caso di motivi di appello, ricorsi per Cassazione, memorie al giudice o al PM etc..”.
Un’idea, infine, quella evidenziata nei giorni scorsi da MF e conclude Vittorio Ranieri “dettata solo da motivi di praticità vista la situazione attuale”, ovvero come “in tema di celebrazione dei processi da remoto, per motivi di economia processuale e di scrematura dei ruoli, la tecnologia potrebbe intervenire nei casi di “celebrazione” di quelle udienze destinate a essere rinviate essendo di “mera distribuzione” o viziate da difetti di notifica, tramite predisposizione di un calendario ad hoc nonché per tutte le attività connesse alla Magistratura di Sorveglianza”. “Fermo restando che, pur comprendendo come occorra prendere atto che il Covid 19 abbia costretto l’indagato/imputato ed il suo difensore ad allontanarsi l’uno dall’altro, impedendo, di fatto, quel confronto continuo e riservato sul quale si regge il rapporto fiduciario, oltre che la cadenza processuale, la sacralità dell’oralità del processo penale è un dato intoccabile”.
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