di Valentina Falsetta
In Turchia esistono vie colorate, tipicamente speziate, profumate di voglia di vivere, sonanti di musiche poetiche e lontane.
In Turchia esistono paesaggi fiabeschi, colori caldi, tramonti ed albe evocativi di principi e principesse da mille e una notte, ricordano tempi remoti sfavillanti di storie d’oro e d’argento da narrare in sere d’estate.
Ma in Turchia esiste anche un’imponente montagna, la montagna del Sultano liberticida. Al di là della facciata turistica da immortalare e portare in valigia al ritorno, questa si staglia alta nel cielo. Ogni anno incide sulla sua parete rocciosa ed impraticabile gli obiettivi raggiunti, comprime speranze di libertà da così tanto tempo che gran parte degli abitanti ai suoi piedi errano nel deserto, arresi ad una vita unidirezionale, monocromatica, abituati all’odore stantio.
Il Sultano infatti ha l’odore nauseabondo di chi siede da secoli sul trono, cambia volto rapidamente per propugnare rinnovamento, è sordo ai diritti ma ha occhi ben vigili, è pronto ad inghiottire velocemente gli sleali nelle viscere di un Corpo patologicamente malato.
Canti di libertà
Ogni tanto, miracolosamente, accade la Rivoluzione. Purtroppo non sempre questa giunge a compimento, ed i soldati periscono, spesso neanche menzionati dalle generazioni successive.
Vi era un gruppo in Turchia, una band di umani, fragili come gli altri, combattenti pacificamente il regime del Sultano.
I Grup Yorum vendevano milioni di dischi, riempivano stadi ed univano i cittadini in canti di libertà, inondavano la Nazione di speranze, parlavano ai giovani di un domani lucente di possibilità democratiche.
Tre dei componenti dei Grup Yorum sono morti, caduti in battaglia, non uccisi dai proiettili, bensì dal loro stesso coraggio: chiamati dalla voce ben più austera di quella del Sultano, cristallina ed impossibile da ignorare.
Era la voce del coraggio di opporsi, per se stessi e per la Comunità. Certe idee non nuociono ai palazzi del potere, non operano golpi, semplicemente scardinano dogmi e statue dorate.
Le idee dei Grup Yorum si stagliavano in alto, talmente in alto da far sopportare i morsi della fame, si componevano in un’armonia ordinata e piacevole di note e parole.
Se per vivere, o Libertà
chiedi come cibo la nostra carne
e per bere
vuoi il nostro sangue e le nostre lacrime,
te li daremo
Devi vivere
Alekos Panagulis
Verrà il tempo
Il bassista dei Grup non ha potuto ricevere un saluto da sostenitori e familiari, nel Paese di Erdogan non solo si muore di fame in nome della libertà: il Potere riesce a spezzare le ali di tutti quelli a cui il gruppo di terroristi armati di parole e musica avevano donato l’idea del coraggio.
Eppure, se al di sotto di quella montagna qualcosa si è smosso, forse non è più utopistico pensare ad un seme di libertà che sboccierà in futuro.
Se i Grup Yorum hanno sfidato ed accettato la certezza della morte, forse gli stessi giovani riuniti negli stadi negli anni passati, riusciranno a vincere il Sultano, a scalare la montagna e scorgere l’odore nuovo della democrazia, il canto dei dissidenti liberati.
Storie di oppressione ci giungono dalla Turchia e dai paesi limitrofi, e poesie inneggianti alla Lotta firmate da cittadini soli nella moltitudine di altri cittadini abbandonati all’abitudine.
La storia insegna che arriverà il tempo, il girone della Presa dei sacri diritti: naturali, inviolabili, dal pugno di ferro del Tiranno del momento.
Verrà il tempo, e forse morire di fame in nome di quei diritti avrà significato un qualcosa nell’infinita storia dei Creonte votati all’arbitrarietà dispotica e insofferenti alle leggi morali.
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