di PAOLO CRISTOFARO
Con le sue dichiarazioni contribuì a portare alla sbarra boss e picciotti della 'Ndrangheta vibonese legata al potente clan dei Mancuso di Limbadi, salvo giocarsi poi la protezione a causa della sua voglia di "vita spericolata", tra prostitute e gioco d'azzardo. Ora il Consiglio di Stato, ha confermato la revoca del programma,già decisa nel nel 2017, nei confronti dell'ormai ex collaboratore di giustizia Eugenio William Polito. "Ammesso al programma nel 2008, ha assunto, a partire dall’anno 2010, una serie numerosa di comportamenti che, nel loro insieme, sono risultati incompatibili con la natura stessa del programma di protezione". Con questa motivazione il Consiglio di Stato, con sentenza del 28 maggio 2020, ha confermato la revoca del programma speciale di protezione ad un collaboratore di giustizia, rigettandone il ricorso, presentato dall'avvocato Maria Claudia Conidi.
L'uomo, stando a quanto scritto dal Tribunale, avrebbe messo in atto atteggiamenti, sin dal 2010, che hanno portato a situazioni penalmente rilevanti, tra le quali, oltretutto, una condanna, nel 2013, per sfruttamento della prostituzione, conclusa con il patteggiamento. Ha inoltre violato gli obblighi di mimetizzazione e di collaborazione che non prevedono l’abbandono ed il disvelamento della località protetta, ma ha anche ospitato nel domicilio protetto, senza autorizzazione, la propria compagna. Prima di giungere, nel maggio 2017, alla decisione di revocare il programma di protezione, il ricorrente è stato destinatario, in due occasioni (nel maggio 2012 e nel dicembre 2015), di formali diffide da parte della Commissione centrale con cui lo si intimava ad astenersi dal tenere ulteriori comportamenti confliggenti con gli impegni, senza esito positivo.
Gli viene contestata anche la frequentazione di sale da gioco, che gli avrebbe causato, in aggiunta, una serie di debiti, nonostante lo stesso, nel 2014, avesse lamentato l'insufficienza del sussidio di 450 euro mensili per la sopravvivenza. Il Consiglio di Stato, nel redigere la sentenza, ha richiamato anche il parere espresso dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, con riferimento all’assenza di pericolo per l’interessato e al fatto che gli impegni processuali del collaboratore di giustizia si erano ormai sostanzialmente conclusi, ma soprattutto a quello espresso dalla Direzione Nazionale Antimafia la quale ha tuttavia ritenuto che la gravità delle molteplici violazioni comportamentali (non interrotte neanche dopo le due diffide del 2012 e del 2015) non giustificassero l’ammissione alle misure bensì l’adozione quindi di un provvedimento di revoca.
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